Climate fiction: la narrativa tra ecoansia e ricostruzione
Catastrofi climatiche, discussioni sull’Antropocene e futuri sempre più traballanti sembrano essere ormai la base della nostra quotidianità, e una delle conseguenze più immediate di questo stato di crisi costante ma latente è lo sviluppo incontrollabile dell’ecoansia.
Il vocabolario Treccani la definisce come: “La profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali.”
Con il nuovo secolo e la presa di coscienza sempre più salda della popolazione sui problemi cui è soggetto il pianeta, si risveglia anche la penna di denuncia di moltə scrittorə contemporaneə che vanno ad aggiungersi a coloro che, ancora nel secolo scorso, avevano reso il clima centrale nelle loro narrazioni. Impossibile non citare Frank Herbert con il colosso eco-fantascientifico Dune e Octavia Butler con La parabola del seminatore; testi che anticipano quella corrente di testi oggi chiamata climate fiction.
I temi della climate fiction
Climate fiction – o cli-fi – è un termine coniato dall’attivista Daniel Bloom nel 2007. Rappresenta un elemento così nuovo nella letteratura, che i critici sono ancora divisi nel considerarla un sottogenere della fantascienza o un nuovo genere a sé stante. In effetti, è innegabile che la cli-fi abbia numerosi punti in comune con la narrazione speculativa, e in particolare con la fantascienza. Tuttavia, il tema centrale di questo tipo di narrazione resta quello dell’ambiente, associato ad una rivendicazione da parte della natura degli spazi che le sono stati rubati; elementi che una penna consapevole potrebbe inserire in altri contesti e quindi allargare il campo di azione della cli-fi ad altri generi.
Quello che, al momento, la climate fiction pare rappresentare è soprattutto un tentativo di risvegliare le coscienze ambientaliste di chi legge. Sembra infatti una risposta all’appello lanciato nel 2005 da Robert Macfarlane, che in un articolo sul The Guardian lamentava la mancanza di narrazioni sul cambiamento climatico – quando invece per il terrore nucleare di cinquant’anni prima i libri si erano moltiplicati in pochissimo tempo:
“Dov’è la letteratura sul cambiamento climatico? Dov’è la risposta creativa a quello che Sir David King, il principale consigliere scientifico del governo, ha notoriamente descritto come “il problema più grave affrontato dal mondo”?
Raccontare il cambiamento climatico
Negli anni successivi, i romanzi incentrati sul cambiamento climatico sono diventati sempre più numerosi, tanto che l’ecocritica Astrid Bracke dichiara:
[…] Le narrazioni e l’atto di narrare sono centrali per l’esperienza umana del mondo. […] Le narrazioni sulla crisi climatica non sono quindi solo rappresentazioni della crisi climatica, ma funzionano anche come strutture attraverso le quali le persone interpretano il mondo che le circonda. […] Nei romanzi si può rivisitare il passato e il presente, si possono immaginare futuri diversi e provare risposte ed esperienze. Pertanto, in un’epoca di crisi climatica globale, i romanzi funzionano come spazi sperimentali in cui si mettono in scena circostanze reali e immaginarie, in cui vengono considerati dilemmi etici e morali e in cui il mondo può essere compreso.
A questa serie di idee e teorie si unisce la voce di Timothy Morton, autore di alcuni tra i più importanti saggi del panorama filosofico-ecologista. Questi categorizza “l’ecomimesis” – ovvero la narrazione con taglio ecologico – come l’espediente attraverso cui si cerca di annullare la separazione tra la natura e noi stessi. Ovvero, una modalità per mostrare quanto l’uomo sia parte integrante del mondo e quanto sia quindi insensato continuare a distruggerlo. Il contributo di Morton è incredibilmente importante per la diffusione in larga scala di concetti essenziali alla comprensione non solo della cli-fi, ma anche e soprattutto del contesto ambientale in cui l’uomo attualmente si ritrova a vivere (e sopravvivere). I saggi nati dalla penna di Morton sono puntuali e spietati – per quanto spesso filosoficamente astrusi –, e mettono chi legge faccia a faccia con il mondo che lə circonda.
La climate fiction tra consapevolezza ed ecotrauma
Consapevolezza è la parola chiave dei testi che appartengono alla climate fiction o che orbitano attorno al genere. Scrivere cli-fi nasce dalla consapevolezza che ci sia bisogno di un cambiamento nel mondo (soprattutto nella sua componente capitalista); la narrazione ambisce a risvegliare in chi legge una nuova consapevolezza. Perciò, sviluppare un nuovo punto di vista sul mondo rappresenta il fine ultimo di molte di queste opere.
La consapevolezza è spesso amara, cosa che la lega a doppio filo all’ecoansia e soprattutto all’ecotrauma. Quest’ultimo generalmente nasce da un particolare disastro di origine climatica, che segna a tal punto l’individuo da essere percepito come un vero e proprio trauma da parte di chi lo vive, chi vi assiste o anche solo di chi ne sente parlare. In questi casi, possono manifestarsi forti sintomi di ansia, nonché stress post-traumatico.
Il caso Vandermeer
Esempio perfetto di animo sensibile al contesto ambientale e profondamente marchiato da un ecotrauma è lo scrittore Jeff Vandermeer. Come spiega Jack Dudley, la trilogia dell’Area X nasce dalla visione di Vandermeer di un disastro ecologico nel Golfo del Messico:
Quando il pozzo Macondo Prospect della British Petroleum esplose nell’aprile 2010, vomitò petrolio e gas nel circostante Golfo del Messico, con una fuoriuscita finale di oltre 200 tonnellate. Milioni di galloni, che colpirono sedicimila miglia di costa. Il disastro finì per uccidere circa 1 milione di uccelli marini, 8,3 miliardi di ostriche e 160.000 giovani tartarughe marine; nonchè gli undici lavoratori umani sulla piattaforma Deepwater Horizon che morirono nell’esplosione.
L’evento si sedimentò nella mente di Vandermeer come un ecotrauma, e lui stesso dichiara: “Per molti di noi nella zona, era un pensiero che sgorgava nelle nostre menti e non riuscivamo a liberarcene. Ci perseguitava giorno e notte, sempre lì: un suono fantasma, un pensiero fantasma.”
Fu questo disastro, questo pensiero costante, a creare l’Area X. Vandermeer d’altronde insiste sul fatto che le storie non siano arbitrarie ma si colleghino ad accadimenti reali. In un mondo in cui tutto sembra lontano perché percepito attraverso uno schermo, Vandermeer punta ad arrivare al cuore di chi legge con una trilogia di denuncia in cui contrappone la realtà capitalistica a quella naturale, dando a quest’ultima la capacità di ri-creare il mondo.
Affrontare la catastrofe
L’essenza stessa dell’Area X è quella di dimostrare all’uomo il potere del cambiamento e la bellezza del mondo naturale. Per quanto inquietante, l’Area è un mondo di meraviglie: una nuova realtà ricca di biodiversità, quasi un secondo paradiso terrestre, un nuovo inizio in cui poter fare meglio, purché si accetti di lasciare alle proprie spalle il mondo finora conosciuto. Vandermeer mette nero su bianco ciò che – per lui – è necessario fare per superare l’ecotrauma e riuscire a vivere al meglio nella nuova era: accettare il cambiamento.
Partendo dall’esempio di Vandermeer, si può dire senza alcun dubbio che le nuove narrazioni mettono in discussione la serie di credenze che vedono l’uomo come l’apice della creazione, il cui fine ultimo è di diffondere il proprio dominio sul resto del pianeta. La climate fiction propone una visione in cui la distinzione netta tra uomo e mondo naturale viene meno, sostituita da una nuova idea di armonia e uguaglianza con l’ambiente.
Climate fiction: uno sguardo non antropocentrico
Inserendo una nuova prospettiva nei confronti del mondo naturale, il nuovo (sotto)genere focalizza l’attenzione di chi legge sui cambiamenti climatici e ciò che, quindi, il comportamento messo in atto finora dall’uomo comporta per il mondo naturale.
La climate fiction si pone in contrasto con le idee antropocentriche e invita chi legge a riscoprire e a sforzarsi di capire il misterioso mondo naturale che da sempre affascina e inquieta l’umanità.
FONTI:
Articolo di Macfarlane: https://www.theguardian.com/books/2005/sep/24/featuresreviews.guardianreview29
A. Bracke, Climate Crisis and the 21st-Century British Novel, Bloomsbury Academic, London, 2019, p. 7, 10-11
T. Morton, Dark Ecology: For a Logic of Future Coexistence, New York: Columbia UP, 2016, pp. 63- 64
J. Dudley, Ecology without Civilization Traumatic Restoration in VanderMeer’s Southern Reach Trilogy, in English language notes vol.59, n.2, 2021, p. 91
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