Letteratura e cucina: che rapporto c’è?
Per me letteratura e cucina sono sempre state due passioni vissute di pari passo, spesso insieme.
Amo immensamente cucinare, ho provato anche a intraprendere la professione di cuoca, e anche adesso che per lavoro faccio tutt’altro, la cucina e il buon mangiare non mancano mai nella mia vita. Tipicamente italiano, vero?
Tuttavia credo che sia una passione che trascende i paesi e le nazioni e che entri nel cuore a molti. Fiumi di parole sono stati spesi – e vengono spesi ancora – sul cibo, sul rapporto che crea tra due persone, in famiglia, tra sconosciuti e stranieri. Non mi riferisco solo a quei tomi (stupendi per altro) realizzati dagli chef, nuove star della letteratura, con quelle foto meravigliose di piatti e ricette create per occhi e palato.
Mi riferisco alla narrativa, alla letteratura di genere, ai romanzi, insomma.
Ci sono di due macrocategorie, a mio parere:
- quelle in cui la cucina è ambientazione, contorno;
- quelle in cui la cucina è protagonista.
Nel primo caso non posso non citare Tolkien. I suoi personaggi sono dei buon gustai, sempre dediti a scoprire nuovi ingredienti e nuove ricette. Ammetto con orgoglio di aver sullo scaffale della mia cucina “A tavola con gli Hobbit”, una carinissima raccolta delle ricette presenti nelle opere di Tolkien. (Inutile dire che le ho testate e sono veramente da acquolina).
Forse perché amici e colleghi, ma anche C.S. Lewis non scherza con il cibo, basti pensare ai Lucumi della Strega ne “Le cronache di Narnia”. Un dolce di ispirazione turca, simile a una grande caramella gelatinosa. Facile capire perché la Strega li utilizzasse per convincere i bambini…
Anche Diana Wynne Jones era una grande amante delle scene conviviali: bastava una teiera di tè caldo e qualche biscotto, pane burro e marmellata, e la scena era servita.
E chi non ha sognato di prendersi una Burrobirra insieme a Harry Potter, o partecipare a un banchetto ad Hogwarts?
Queste scene restano impresse, a mio parere, perché sono situazioni famigliari, conviviali, in cui è facile immedesimarsi, anche se ci si trova in un mondo diverso, in una terra lontana, a una galassia di distanza da casa.
Sono gesti che associamo a qualunque civiltà: un bicchiere d’acqua, un pezzo di pane, e la descrizione di un momento altrimenti morto o fatto solo di dialoghi assume uno spessore nuovo, una dimensione tutta sua. Diventa una situazione conosciuta.
Spesso non ci si presta molta attenzione e le descrizioni scivolano via, ma non per questo non entrano nel cuore, anzi.
Ci sono anche interi personaggi che ruotano intorno a questa passione: basti pensare a Nero Wolfe, detective buongustaio, che non può vivere senza una padella in mano o uno chef vicino a sé; idem per il detective-gourmet Pepe Carvalho, di Manuel Vazquez Montalban, da cui è stato tratto “Ricette immorali”, un trattato eno-gastronomico-sessuale sul ruolo del cibo nella coppia; o Moltalbano che, come tutti i siciliani doc, non riesce a rinunciare ai piaceri della cucina tipica della sua terra, tra vicine generose e ristorantini sul lungomare.
Nella seconda categoria, la cucina è la protagonista indiscussa, il motore che trascina la storia e crea personaggi e situazioni: “Chocolat” di Joanne Harris, “Julie & Julia”, di Julie Powell, e il già citato “Ricette immorali”, sono solo alcuni esempi di un filone che anno dopo anno si sta ingrossando e prendendo piede quasi come nuovo genere letterario.
E voi, cosa ne pensate di questo rapporto? Lo vedete e lo apprezzate o vi scivola addosso?
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