Sabato 8 giugno, al MIC (Museo Interattivo del Cinema) è stato proiettato il film-documentario “Worlds of Ursula K. Le Guin“. Con una chiara presa di posizione da parte degli organizzatori dell’evento, all’autrice venuta a mancare il 22 gennaio 2018 è stato dedicato ampio spazio nella sezione “Enlightments” di un evento che, per la prima volta da decenni, riporta il fantastico a Milano.
Le Guin fu una delle più grandi autrici statunitensi di romanzi di narrativa speculativa. Nei suoi romanzi e racconti parlò di utopia, parità di genere, ambientalismo, pacifismo, creando mondi e personaggi indimenticabili.
Il primo documentario dedicatole, risultato di un progetto di crowdfunding, è diretto da Arwen Curry – ed è bellissimo. Curry ripercorre cronologicamente le pubblicazioni di Le Guin, preferendo il contributo ideologico a quello narrativo, e servendosi delle preziose testimonianze di parenti, amici e autori che hanno sentito forte l’influenza di questa autrice straordinaria (Neil Gaiman e David Mitchell). Il risultato è un omaggio limpido e sincero, in cui le testimonianze dirette si intrecciano a sequenze animate che dipingono l’universo immaginifico di Le Guin.
I romanzi di Ursula K. Le Guin mi sono sempre venuti in soccorso nei momenti difficili della mia vita. Mi hanno trovata senza che li andassi a cercare, fin da quando ero una ragazzina e non sapevo nemmeno di averne bisogno. Se non che, avendone attraversate le pagine, scoprivo che la mia mente aveva guadagnato nuovi percorsi, che le cose suonavano giuste, e più ricche.
Ho avuto tre mentori.
Il primo mi regalò “Tehanu” in lingua originale, quando avevo quindici anni e stabilito (compreso?) da tre che la mia esistenza sarebbe stata fatta di storie scritte. Era una giornata di estate e la biblioteca era piena di luce. Avevo una maglietta arancione, una piccola cotta, e attraversavo un disgraziato periodo di insufficienze nell’ora di lettere. Tenar mi prese per mano, lei che a quell’epoca era una donna matura e molto più saggia di quanto potrei mai sperare di essere, per dirmi che una ragazza poteva essere un drago.
La seconda dei miei mentori mi prese in carico dopo di allora. Le dettavo delle lettere nella testa, senza avere mai il coraggio di metterle per iscritto e spedirle. Era un modo per ordinare i pensieri. Un’amica immaginaria. Solo che era reale, era una donna anziana con casa a Cleveland, un marito due figli un gatto. Le lettere iniziavano così: “Cara Ursula,” oppure senza saluto alcuno, come una conversazione interrotta e ripresa, come un diario. Cosa faresti tu? Che avresti risposto?
Il mio sogno di scrittura aveva presto contorni più nitidi, ma persino più ambiziosi. Sedere al tuo fianco sullo stesso scaffale. Presentarmi una mattina di settembre alla tua porta senza preavviso, come un’amica di vecchia data.
Il terzo dei miei mentori mi insegnò tutto quello che so sulla scienza in tre frenetici anni di scoperta. Finita la sua opera, scomparve senza spiegazione, senza un saluto. Tornai un lunedì, e il suo ufficio era già stato sgomberato. Un fantasma che, di tanto di tanto, infesta la mia casella email. Bisognava che esorcizzassi la sua assenza: lo feci con “La mano sinistra delle tenebre”. Attraversai con una slitta i deserti ghiacciati del pianeta Inverno, e quelli del mio orgoglio ferito, entrambi sterili, entrambi gelidi.
Il tradimento di quando venne a mancare questa autrice, lo ricordo come qualcosa di personale. Scompariva, con lei, l’ultima delle mie guide.
Ci volle un intero anno prima che tornassi a cercarla, come un rabdomante; perché cercavo domande, e ricordai che lei le sapeva porre.
Che posso dire, più di questo?
Ho pianto guardando il documentario “Worlds of Ursula K. Le Guin”. È stato realizzato da qualcuno che la amava quanto me, e ci aveva capito qualcosa di più… Ma sto imparando, e ho una strada lastricata di romanzi per scoprire dove andare.