Narrativa inclusiva: chi, come, perché
Scrivere in modo inclusivo è difficile. In effetti, è così difficile che potresti chiederti se ne valga la pena. Invece che rischiare di sbagliare, meglio non provarci affatto, giusto?
Sbagliato.
Scrivendo qualsiasi cosa si discosti da un diario o da una autobiografia, descriviamo un altro. Qualcuno che, magari, avrà tratti e personalità differenti dai nostri. Ed è lui, il primo alieno – lo sconosciuto che non sono io – l’oggetto della scrittura inclusiva. Ogni persona che incontro. Ogni mio personaggio.
Il paradigma dominante
Descrivendo l’altro ci distanziamo dal paradigma dominante, ovvero ciò che la maggior parte delle persone nella nostra società considererebbe “normale”. Questo perché ciascuno, in un modo o nell’altro, differisce dal paradigma dominante. Un modo convoluto per dire qualcosa di ovvio: siamo tutti diversi.
Tuttavia, la nostra società enfatizza alcune differenze molto più di altre: razza, orientamento sessuale, età, (dis)abilità, religione, sesso.
Nella critica letteraria si definisce unmarked state (lett. stato senza contrassegni) un personaggio che possiede esclusivamente caratteristiche neutre. Un personaggio unmarked ha una certa trasparenza, e permette ai lettori di seguire l’azione della storia senza colorarla con la sua particolarità: è l’impostazione predefinita di ciascun personaggio, se non altrimenti specificato.
Prendiamo l’esempio il racconto di qualcuno che cada per errore nel fiume tentando di guadarlo. Questo “qualcuno” permette di raccontare la storia nella sua forma più neutrale. Cosa succede se al suo posto mettiamo “una donna incinta” o “un anziano afflitto da amnesia”?
Each of these departures from the unmarked state allows the reader to inflect the story with their own judgements, their own experiences and unfounded beliefs concerning people marked with whatever characteristics the author specifies.
“Writing the Other – A practical approach” di Nisi Shawl & Cynthia Ward
Allontanandosi dall’unmarked state subentrano considerazioni esterne alla storia, e proprie del vissuto di autore e lettori.
Consideriamo ora quali siano le caratteristiche intrinseche di un personaggio nel suo unmarked state. Chi avete immaginato cadere nel fiume? Probabilmente si tratta di un uomo giovane, bianco, eterosessuale, single e in salute. Lui è la nostra impostazione predefinita. Chiamiamolo William (probabilmente è anglosassone). Siamo abituat* a guardare il mondo attraverso i suoi occhi.
L’unmarked state non è (non può essere) uno stato permanente. Ma le storie parlano di cambiamento, e spesso prevedono che un personaggio passi da una categoria a un’altra: innamorandosi, cambiando sesso, cambiando città, tingendosi i capelli, finendo in un incidente d’auto. O semplicemente invecchiando.
Coerenza e generalizzazione
Modificando uno qualsiasi dei tratti di William entriamo nel dominio del marked state (stato contrassegnato), cioè andiamo a rappresentare una minoranza. Può trattarsi di una minoranza in senso lato (per esempio, la popolazione femminile mondiale si assesta sul 49,5%) – ma permettetemi di usare questo termine improprio per includere tutto ciò che è non-William, ovvero ciò che è stato escluso dalla narrativa degli ultimi duemila anni.
Scrivere in modo inclusivo significa smarcarsi dall’unmarked state e approcciare il diverso. L’incontro va preparato con cautela, perché mentre siamo a nostro agio nei panni di William, entrare in quelli di una lesbica affetta da sclerosi multipla potrebbe presentare enormi difficoltà a chi non appartiene a nessuna di queste categorie (è una donna ma non è lesbica; è un uomo, è un uomo affetto da sclerosi multipla). Per entrare in comunione con una personaggia simile, è necessario avere un punto di accesso: bisogna fornire alla personaggia alcune caratteristiche che esulino dalle categorie elencate sopra, che i lettori possano avere in comune con lei. Adora il sushi. È stonata. È perdutamente innamorata. Questo procedimento si chiama congruence (coerenza) e permette di non cadere in un errore comune: generalizzare.
Generally, a secondary character has one main character trait. However, a secondary character shouldn’t be that one trait exclusively. (…) For example, don’t make a secondary character’s main trait be his gayness and then portrait him as a bitchy, effeminate San Francisco florist with a great collection of disco-diva CDs. There’s nothing wrong with a character being gay, effeminate, or a florist, or a disco fan, or a San Francisco resident. But when every trait you ascribe to a character points to the same group, you’re just promoting a widely-held stereotype.
“Writing the Other – A practical approach” di Nisi Shawl & Cynthia Ward
Sette errori da evitare
È meglio sbagliare che non tentare affatto. Però, come dice il proverbio, perseverare è diabolico! Vediamo quindi sette errori di rappresentazione della diversità diventati quasi proverbiali, per imparare da chi ci ha precedute:
- Assegnare ruoli di eroi o antagonisti esclusivamente in base a marcatori etnici, religione, o orientamento sessuale.
- Far ruotare la storia intorno a preoccupazioni proprie di persone nel marked state (per esempio, gli schiavi nelle piantagioni); ma centrare la trama su come il problema riguardi persone nell’unmarked state (per esempio, i padroni bianchi).
- Il protagonista (William) ha un* migliore amic* nel marked state, che esiste solo per renderlo più trandy.
- Rendere tutti i personaggi appartenenti a minoranze vittime o criminali.
- Romanticizzare il diverso, annullandone complessità e sfumature.
- Storpiare lingue e dialetti.
- Enfatizzare la malvagità di un gesto violento sottolineando l’innocenza della vittima.
Ma io l’ho sentito dire davvero!
Un’obbiezione che sento spesso quando si parla di narrativa inclusiva, o si cerca di fornire un vademecum che permetta una rappresentazione rispettosa dell’alterità, è basata su una percepita verosimiglianza. Il problema si fa particolarmente serio quando una rappresentazione erronea o offensiva deriva dall’esperienza personale dell’autore/autrice. Ha davvero sentito quella frase. Ha letto quell’articolo.
Non dimentichiamo, però, che la scrittura è un atto squisitamente soggettivo. L’atto di selezione di un episodio è frutto di una scelta e sposta l’evento dal reame dell’oggettività a quello della soggettività.
You noticed it. You decided it was important. You placed it in a certain context. You scripted your other character’s reacting to it. You’re trying to imbue it with meaning, and there’s no escaping your responsibility for that, whether or not the attempt was successful.
“Writing the Other – A practical approach” di Nisi Shawl & Cynthia Ward
Non fatevi prendere dallo sconforto! Qui su Moedisia trovate delle risorse che vi aiutino e guidino in una rappresentazione più onesta e consapevole. Il rispetto si insegna, e la narrativa inclusiva si impara. Basta provarci.
TITOLO: Writing the Other – A practical approach
AUTRICI: Nisi Shawl & Cynthia Ward
EDITORE: Conversation Pieces
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