Materiale di supporto per una narrativa inclusiva
Che la letteratura (e non solo quella fantastica) sia ancora dominio quasi esclusivo di una minoranza elitaria, non è una sorpresa per nessuno. Ma se difficilmente si troverà un autore che sostenga che le donne non debbano scrivere, o gli asiatici, o gli africani; non significa che il problema sia magicamente scomparso. Ancora oggi a dominare il mercato (anche quello nostrano) è una letteratura anglofona maschile, eterosessuale e bianca; in cui persistono pervicaci pregiudizi culturali, sessuali e di genere. Purtroppo, anche fantasy e fantascienza, che per loro natura dovrebbero essere i baluardi del pensiero trasversale, non sono esenti da queste dinamiche. Anzi, queste sono state talmente interiorizzate da certi autori e autrici da aver causato un vero e proprio bias cognitivo, per cui si crede di stare scrivendo un’opera illuminata – mentre nella realtà si sta perpetuando il solito preconcetto.
Bias cognitivo
Vi faccio un esempio: ascoltavo un’autrice italiana di fantascienza raccontare delle sue difficoltà nello scegliere un pronome di genere per il suo mondo futuristico in cui, al raggiungimento della maggior età, maschi e femmine potevano scegliere – rullo di tamburi – se ricoprire mansioni da uomo o da donna. Perché è ovvio che il problema sta nello scrivere il moglie o la marito, non nel sottintendere che certi mestieri (per esempio, lo scienziato) siano prerogativa di maschi o femmine.
Appropriazione culturale
Di rado, però, il problema è così evidente. Ora che qualche voce fuori dallo standard inizia a farsi sentire, stiamo imparando cos’è il razzismo… Mentre il dibattito su cosa rappresenti appropriazione culturale è ancora ben lontano dal trovare soluzione. Il fatto è che non ci piace pensare di essere dei privilegiati. Molto meglio credere che siamo arrivati ai nostri traguardi con le nostre sole forze, che ammettere il supporto di una famiglia benestante, di istituzioni liberali, insomma, di un sistema che spinge noi e quelli come noi ad arrivare più in alto di altri, e con meno fatica.
E sapete cosa ci piace ancora meno? Pensare di non dover fare qualcosa. Che non dovremmo scrivere di stupro, della vita nei campi di cotone o nelle miniere d’oro del Congo belga. Non dovremmo farlo perché, seppur mossi dalle migliori intenzioni, la nostra narrativa è figlia di una retorica da oppressori, non da oppressi. Il nostro linguaggio è inquinato da espressioni dispregiative che alle nostre orecchie suonano neutre.
Insomma, la narrativa è ancora lì, si è solo fatta più subdola, ricoperta di una patina di legittimità chiamata “libertà di parola”. Che è una cosa meravigliosa – se non comporta lo schiacciare le voci degli altri.
Allora qual è la soluzione? La vittoria del politically correct? Nessuno scrive più di nulla?
Questa obiezione mi è stata fatta più di una volta, ma ammettiamolo: è capziosa e fuorviante. Per prima cosa, il mondo è pieno di storie che attendono di essere raccontate (e non sono tutte grim dark). Secondo, tranquillizziamo il Signor Nessuno, che teme gli venga sottratta la libertà di parola: ci sarà sempre pubblico per romanzi banali e che facciano l’occhiolino ai nostri solidi pregiudizi. Vorrei solo che fossero meno. Terzo: il mondo della letteratura ha già creato i propri anticorpi, nella figura dei sensitivity readers. Si tratta di lettori beta provenienti da minoranze sensibili, che identifichino nel romanzo criticità di carattere implicitamente razzista o sessista.
Un esempio concreto: afroitaliani
Da quando abbiamo scoperto che una delle nostre protagoniste femminili è una giovane donna afroitaliana, Gloria e io siamo andate in cerca di materiale che ci aiutasse a conoscerla meglio. Prima di contattare dei sensitivity readers, ci siamo rivolte al web, scrivendo “Com’è essere una ragazza meticcia in Italia?”. Poche righe dopo scoprivo che “meticcio” è una parola dispregiativa (non ne avevo idea), e che essere una donna di colore in Italia significa – almeno stando alle prime 3 pagine della ricerca di Google, non ho osato andare oltre – essere guardata come a un oggetto sessuale.
La situazione italiana è, in questo, del tutto diversa a quella statunitense (se siete curiosi, date un’occhiata a Writing with Colour). Le problematiche sono diverse, è diversa la questione identitaria. Ma se vogliamo sperare in una narrazione più inclusiva, è necessario entrare in contatto con fonti dirette: quegli uomini e quelle donne che hanno voluto raccontare la propria esperienza.
Lasciamo la parola ai testimoni
“No, Johanne,” replica Daisy, “non è così. Mi dispiace deluderti. Questo film è di un’ipocrisia incredibile. Alla fine mostra che è sempre l’uomo bianco che decide. Sempre. Non va bene.”
Cioccolatino, pantera e tutto il resto – Cosa vuol dire crescere in Italia quando sei nera. – Johanne Affricot
«Essere neri in Italia vuol dire avere qualcuno, un amico, uno sconosciuto, un’istituzione, che quotidianamente ti chiede cosa si prova. Te lo ricordano sempre. Con un documento negato, con una frase del tipo: “Come parli bene l’italiano!”. Sei nero perché gli altri intorno ti ricordano che lo sei. Ma non è che io mi svegli la mattina e dica: “Ah sono nera”.
– Medhin Paolos in Cosa vuol dire essere neri in Italia
Woow che bei capelli? Posso toccarli?
Sandrine M. in Le 10 frasi più ignoranti che deve sorbirsi una persona nera.
No.
Questa specie di osannazione per i miei capelli e il fatto di voler invadere la mia persona e toccarmi, é quasi denigratoria.
C’é chi neanche te lo chiede!
É veramente fastidioso che le persone sentano l’esigenza di toccarci come se fossimo creature mitiche o animali in uno zoo o fenomeni di baraccone, infischiandosi del nostro punto di vista.
Voglio dire, magari anche io penso che tu abbia un bel sedere… Ma non vengo mica a toccartelo!
Mi capita, quando vado in Comune a Milano per richiedere un certificato ed esibisco il mio passaporto italiano o la mia carta d’identità, che il funzionario senza neppure dare un’occhiata ai miei documenti, ma solo guardandomi in faccia, esiga comunque il mio permesso di soggiorno: documento che nessun cittadino italiano possiede.
Pap Kouhma in Io, nero italiano e la mia vita a ostacoli.
Il problema è che la maggior parte della gente non vuole ammettere alcun torto. E poi c’è anche quest’idea diffusa che “l’ospite” abbia un diritto d’espressione limitato: se vuoi criticare le abitudini di quelli che erano qui prima, faresti meglio a non farlo. Certo, mentirei se dicessi che il razzismo è un problema che devo affrontare ogni giorno, perché per fortuna conosco tanti italiani tutt’altro che ignoranti o retrogradi. Ma detto questo, di recente ad esempio in un ufficio postale mi hanno accusato di voler pagare con un biglietto da 20 euro falso, senza nemmeno averlo controllato con la macchinetta predisposta. Ho dovuto andare in banca, visto che l’addetto alle poste non voleva accettare i miei soldi, dove mi hanno assicurato che la banconota non era affatto falsa.
Declan Eytan in Spiegare il razzismo italiano all’estero.
Qualche risorsa per una narrazione inclusiva
Se siete arrivati a leggere fino a qui, i casi sono due: o siete direttamente coinvolti, oppure siete scrittori in cerca di materiale, attirati dal titolo dell’articolo. In entrambi i casi, ecco qualche risorsa un po’ più specifica:
Women of Color – We are all different. Un Blog che raccoglie le esperienze di donne, trans e queer di colore, provenienti da tutto il mondo.
AfroOn. Consigli per capelli afro. E rimanendo in tema bellezza, vale la pena buttare un’occhio a questo articolo, che sfata alcuni miti circa la pelle scura.
Afroitalian Souls. Il sito si propone di raccontare la storia italiana che vede protagonisti uomini, donne e ragazzi di origine africana, accostano le riflessioni socio-politiche, nel contesto italiano, alla leggerezza delle tendenze, fino alla scoperta di nuovi talenti artistici.
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