Le madri nel fantasy: un vuoto da riempire
Premessa: Questo articolo è dedicato alle utenti del gruppo FB “Disabilmentemamme“, su richiesta di Samanta Crespi, facente parte del suddetto gruppo e penna anche per “Disabiliabili“.
Speriamo possiate trovarlo interessante. Abbiamo già parlato di maternità e della loro rappresentazione nel fantasy, ma “repetita iuvant”, si sa. Buona lettura!
Le madri nel fantasy: un vuoto da riempire
Possiamo affermare con una certa sicurezza – e orgoglio – che il fantasy, con i suoi molteplici sottogeneri e sfumature, rappresenti la più alta espressione dell’immaginazione umana. Solo nella narrativa fantastica possiamo sfidare le leggi di fisica e gravità, viaggiare nel tempo e nello spazio, sfuggire alla morte. Tuttavia chi scrivere fantastico sembra, in molti casi, incapace di superare stereotipi e preconcetti patriarcali e abilisti che ci zavorrano nel nostro mondo, quello reale, ogni giorno. Se non possiamo immaginarci un mondo senza discriminazioni di ogni tipo e lotte di genere, come possiamo renderlo reale?
Uno dei vuoti che la narrativa fantastica dovrebbe impegnarsi a riempire è quello lasciato dalla figura delle madri. È davvero molto difficile trovare un’opera fantasy in cui donne incinte o madri siano protagoniste o personagge comprimari degne di nota. Più grave, ad oggi esempi di rappresentazioni di madri con disabilità sono non pervenuti.
Se abbiamo la fortuna di incontrare delle madri di sorta, a queste personagge il futuro prospettato è tutt’altro che roseo: o muoiono di parto dando alla luce il futuro prescelto, o vengono zittite e relegate a contorno, semplici nutrici del futuro eroe. In non pochi casi scompaiono e la sola eredità che lasceranno sarà un trauma infantile legato proprio a quell’assenza. Spesso si sacrificano e muoiono per salvare la vita dellǝ neonatǝ. Ma se queste narrazioni sono nocive, quella più tossica è certamente quella che vede nella nascita di unǝ figliǝ e nella maternità la fine della storia di una personaggia. Se aveva qualcosa da dare, lo ha esaurito.
Morte e assenza: due sinonimi
A quanto pare, lɜ protagonistɜ di un fantasy non possono avere una madre (e molto spesso neppure un padre, siamo oneste) in vita: non importa in che momento la morte sopraggiungerà, né i motivi, in molti testi la morte di una madre è un inconveniente con cui lǝ protagonista dovrà confrontarsi – per pochi paragrafi, poi si può ripartire all’avventura.
Nella maggior parte dei casi sono personagge destinate all’oblio o a diventare spiriti guida e motivazioniali per lɜ figliɜ, come Lily Potter, madre del famoso maghetto. Ma vi ricordate per caso la madre dei fratelli Pevensie ne “Le cronache di Narnia”?
L’obiezione più comune è che con una madre alle costole lǝ protagonistǝ non potrà vivere avventure degne di nota. Sebbene possa sembrare un “errore” in buona fede, questo nasce da due false credenze: che la vita di una madre ruoti esclusivamente intorno allɜ figliɜ; e che l’amore di una madre possa salvarlɜ da qualunque pericolo. Purtroppo, a questo secondo assunto, basterebbe rispondere con qualche trafiletto di cronaca nera o qualche reportage da zone di guerra.
L’assenza della madre viene riempita con delle figure surrogato, solitamente una figura autoritaria che raramente è all’altezza del compito di genitore: padri in profondo lutto, zii cattivi, parenti indifferenti o violenti, governanti e balie intransigenti, matrigne terribili. I genitori adottivi amorosi sono mosche bianche. Una narrazione decisamente tossica: il lavoro che sta dietro la genitorialità viene reso superfluo, non necessario. Come le madri che dovrebbero svolgerlo.
Sono rare le volte che l’enorme mole di lavoro che richiede l’educazione dellɜ figliɜ viene narrato, ma per fortuna qualche esempio virtuoso c’è: in “I reietti dell’altro pianeta” di U.K. Le Guin i bambini vivono e crescono in una comunità e il rapporto con i genitori non è privilegiato rispetto agli altri, facendo loro l’antico proverbio africano per cui “per crescere un bambino serve un villaggio intero”. Sempre Le Guin indaga anche la maternità adottiva: nel quarto libro della saga di “Terramare” Tenar adotta una bambina e la cresce amorevolmente, nonostante l’età avanzata.
Angeli del focolare
Se le madri non muoiono nella maggior parte dei casi ci troviamo però di fronte alle cosiddette “madri angeli del focolare”. Un’eredità antica, che arriva direttamente dai Greci, che promuoveva nella gravidanza e nella maternità l’appagamento e la fonte della felicità per ogni donna.
Queste madri sono personagge bidimensionali, che non possono avere una storia diversa dalla cura dellɜ propriɜ figliɜ, la cui intera personalità è annullata e le motivazioni che le spingono all’azione ruotano attorno alla maternità stessa.
Un esempio, ancora una volta lo riportiamo dalla saga di “Harry Potter”, è Molly Wesley: la donna si arrabatta in mille modi per non far mancare nulla alla propria famiglia numerosa. Generosa nelle dosi di cibo quanto a dispensare coccole e attenzioni, è sempre di conforto e sembra impossibile vederla a proprio agio fuori dalle mura domestiche. Sfoggerà le proprie doti di prodigiosa strega solo nel momento in cui la vita della sua unica figlia femmina sarà in pericolo, per poi tornare alla discreta tranquillità della vita domestica.
Se l’archetipo arriva da lontano, è stato nell’800 con le idee di Rousseau che ha raggiunto la consacrazione: con la pubblicazione di “Emilio” nel 1762, Rousseau concretizza le nuove idee che si vanno a definire in quegli anni rivoluzionari sulla famiglia moderna, fondata esclusivamente sull’amore materno. Freud poi, con l’avvento della psicanalisi, traccerà la strada per un destino ancora più buio per le madri, designandole come uniche e sole responsabili della felicità dellɜ figliɜ.
Diviene facile capire come questo archetipo sia diventato ingombrante e reiterato nella letteratura fino ai giorni nostri.
Niente avventure per le madri
Un ulteriore errore di fondo che frena la rappresentazione di eroine donne e madri probabilmente sta nel fatto di credere che queste non possano andar per avventure. L’ostacolo, ovviamente, sono lɜ figliɜ. Certo, la maternità mette di fronte a delle necessità proprie e della prole che è sbagliato non considerare, ma bisogna tenere bene a mente che la madre angelo del focolare non è per nulla aderente alla realtà.
Nella sua trilogia “Terra spezzata” Nora K. Jemisin rende protagonista della sua saga proprio una donna, una madre. Lo fa mettendola in mezzo a un’apocalisse: Essun viaggia, combatte, vendica, salva, alle volte perde. E il suo rapporto con i figli, la figlia in particolare, è centrale per la sua crescita e per la storia stessa. Cosa c’è di diverso da una madre che smuove mare e monti per tenere lɜ propriɜ figliɜ al sicuro in una zona di guerra? O in qualche regione colpita da sconvolgimenti climatici come uragani, frane o alluvioni? Ci riferiamo al nostro mondo, non un ipotetico mondo immaginario. Ogni giorno ci sono madri che affrontano l’indicibile per la sopravvivenza della propria famiglia con coraggio e determinazione pari a quelle degli eroi (e delle pochissime eroine) di un qualsiasi Sword & Sorcery. Perché non possono essere l’ispirazione per nuove storie fantasy?
Cosa possiamo fare per cambiare questa situazione e riempire questi vuoti? Da scrittorɜ dobbiamo imparare a superare gli stereotipi, riscrivere gli archetipi e restituire una rappresentazione più veritiera della realtà che ci circonda, mostrandone idiosincrasie e ipocrisie ma anche la bellezza. Da lettorɜ dobbiamo iniziare a pretenderle queste storie inclusive, supportando chi tenta di scriverle con una critica puntale e, se nelle nostre capacità, indirizzando verso le giuste fonti da cui attingere.
Immaginiamo e creiamo questo mondo, se non per noi, per lɜ nostrɜ figliɜ. Da madre, so di non potermi tirare indietro.
Ancora una volta, vi invito a visitare la pagina FB di “Disabilmentemamme” (gruppo FB) e il loro profilo Instagram (@disabilmente_mamme).
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