Identità mostruose: la voce dei mostri
Gran parte del fantasy moderno si considera erede della tradizione inaugurata da J. R.R. Tolkien: universi metanarrativi specchio e simulazione del nostro, abitati da allegorie molto reali e realtà spesso allegoriche. A Tolkien si deve, soprattutto, la comparsa delle “razze” nel reame fantastico: gli indigeni di ciascun Mondo, con le rispettive etnografie, lingue, differenziazioni somatiche. Oltre a elfi, nani e hobbit, Tolkien ci ha regalato creature senza possibilità di redenzione: orchi, orchetti, demoni e troll.
A differenza dei loro corrispettivi eroici, alla schiera dei mostri non è data voce. Gli orchi tolkieniani non possono – non potranno mai – far parte della Compagnia dell’Anello. I loro percorsi rimangono oscuri, ignoti, tortuosi, non capiti.
Prima di Tolkien
Per quanto possa pesare l’eredità tolkieniana nella narrativa di genere fantastico, il mutismo del mostro arriva da infinitamente più lontano. Già nella sua Teogonia, descrivendo il diadema d’oro donato a Pandora il giorno della sua creazione, Esiodo scrive:
Vi aveva scolpito, meraviglia a vedersi, creature mostruose
Esiodo, “Teogonia”, vv. 581-584
Tante quante sono nutrite in terra e in mare:
ne aveva scolpite molte, rifulgenti di somma bellezza,
destavano stupore, quasi avessero voce.
Già gli antichi avevano quindi messo a tacere i propri mostri, rinchiusi agli angoli del mondo conosciuto o tra gli ori dei propri gioielli – abbastanza vicini da potersene stupire, sufficientemente lontani (schiacciati, prigionieri) da non doverne udire la voce.
Coloro che non hanno mai trovato una figura in cui riconoscersi tra gli eroi consueti, hanno iniziato invece a rileggere le proprie esperienze in quelle dei mostri. Si sono appropriatɜ delle forme in cui la narrazione dominante li aveva costrettɜ, trovandovi nuovi spunti, nuove possibilità di metamorfosi.
Chi sceglie la parte di Pandora va oltre: dichiara orgogliosamente di appartenere al regno delle creature mostre, quelle fuori norma, quelle in grado di suscitare spavento, sconcerto, ribrezzo, disgusto. (…) Ci riconosciamo tra gli stuporosi obbrobri che ne ornano la corona.
Filo Sottile, “Le mostruositrans”
Qualsiasi scrittorǝ che approcci il fantastico incrocerà, prima o poi, la strada di una di queste creature. Sarebbe bene sapere che sono state rivendicate, da chi, perché.
Quali mostri? La sfinge…
La sfinge domanda, analizza e sentenzia. Possiede un set di risposte binarie, come un algoritmo: sì o no. Giusto o sbagliato. Vero o falso. La sfinge decide qual è (quale sarà, sempre) il tuo posto: tra quanti passeranno oltre incolumi, oppure tra coloro che saranno divorati. La sfinge è ogni sistema fatto per escludere.
… I fantasmi
Ogni etichetta descrittiva ha il potenziale per trasformarci in fantasmi: la provenienza, il reddito (la mancanza dello stesso), l’orientamento sessuale, il genere. Se rientrare nelle categorie giuste rende visibili e riconoscibili, ogni altro posizionamento è una condanna all’invisibilità.
Eppure esistiamo. Solo che non siamo maschio, non siamo femmina, e quindi la nostra esistenza scompare dai rilevamenti di ciò che è interamente umano. Siamo invisibili. Fantasmi.
Filo Sottile, “Le mostruositrans”
Quelli a cui abbiamo tolto il nome
È impossibile parlare di esperienza transgender, esattamente come sarebbe impossibile parlare di esperienza mancina: ogni esperienza trans è unica, irriproducibile e parte di uno spettro continuo di possibilità. Ma se ci fosse una cosa che torna, una componente irriducibile, un minimo comune denominatore, forse sarebbe la macchina.
Le persone transgender sono percepite come a-naturali, artificiali. Corpi modificati con farmaci e chirurgia, autocostruiti per scelta, in una radicale forma di incontro-scontro con il “normale”. Seguendo a ritroso il cyborg, incontriamo il suo progenitore; e anche del golem si ammanta l’esperienza transgender:
Quando gli artefici si stancano dei loro golem cancellano la prima lettera. Met significa morte. Ed è questo l’effetto del misgendering, ci riduce al silenzio, all’immobilità. È una cosa diversa dall’ossessione grammaticale, ci sono parole che ci cancellano e altre che ci manifestano.
Filo Sottile, “Le mostruositrans”
Per finire, le sirene
La sirena è più di una creatura mitologica. È il simbolo utilizzato da molte persone disabili nella lotta contro l’abilismo. La fascinazione per la sirena è dovuta a due caratteristiche: la prima è la coda (invenzione relativamente recente), la sua forma ibrida che le permette di fare da ponte tra categorie binarie:
In texts by disabled authors, the ambiguous morphology of the siren-mermaid reflects both an apprehension regarding the disabled female body—itself often coded as “monstrous” or grotesque—as well as an attempt to reconfigure that body as desirable and capable. This oscillation reflects the ambivalence expressed by disabled authors regarding their disabilities—as a source of pride but also as the cause of repeated discrimination and an obstacle to full participation and inclusion in many of the aspects that comprise a rich human life. Because of this, not all of the women who use the mermaid metaphor see the mermaid, and specifically the mermaid’s tail, as unilaterally empowering as does Laterza. For Santamato in Io, sirena fuor d’acqua, it is—at least initially—a “coda odiosa” (hateful tail) that signals difference and invites discrimination.
K. Noson, “That Hateful Tail: The Sirena as Figure for Disability in Italian Literature and Beyond”
The sirena is also, to a certain extent, a queer figure—the presence of a tail where there should be legs confounds the male gaze and raises the question of whether she in fact possesses a vagina or is capable of procreating. The mermaid’s singular coda, as we will see, acts as stand-in for both the phallus and the writing pen, and thus reveals a hybridity that bridges a series of binary categories: “normal” and “abnormal,” disabled and non-disabled, human and animal, oral and written, male and female. This proliferation of binaries points to a complex mechanism: in order for the mermaid-as-disabled to become “normal” (i.e., able-bodied/human/non-fish), she must by necessity effect a reciprocal movement among those other binary pairs as well.
La seconda caratteristica che rende la figura della sirena cara alle persone disabili è il loro canto ammaliatore. Troppo spesso infantilizzate e relegate al silenzio, in queste nuove identità mostruose esse ritrovano la possibilità di esprimersi, il grido di fronte a cui è impossibile resistere.
Narratrici onniscienti, le Sirene di Omero presentano infatti un lato inammissibile per il sistema androcentrico. Esse usurpano la specialità maschile del logos. Si tratta, nel caso delle Sirene, ovviamente di un logos alquanto particolare, ossia di un logos poetico, narrativo, cantato e musicale che confligge con quello desonorizzato della filosofia. E tuttavia si tratta pur sempre di un logos nel quale la dimensione vocale del canto si accompagna alla dimensione semantica del mettere in parole un sapere.
Adriana Cavarero, A più voci: Filosofia dell’espressione vocale
Tutto quello che ci stiamo perdendo
Così, ecco che i mostri che erano stati ridotti al silenzio tornano a parlare. Hanno molto da dire. Hanno il diritto di diventare eroi delle proprie storie, e di crearsi nuovi ruoli nelle storie di ciascuno. Hanno custodito ricchezze in luoghi inaccessibili.
“Monster” deriva dal sostantivo latino monstrum, “prodigio divino”, e si è formato sulla radice del verbo monere “mettere in guardia”. Ha poi cominciato a designare quegli esseri viventi dalla forma o struttura anomala, creature leggendarie. (…) I mostri, come gli angeli, svolgevano il ruolo di messaggeri e araldi dello straordinario. Annunciavano l’avvicinarsi della rivelazione, dicendo, di fatto: «Presta attenzione: un evento di importanza capitale sta per aver luogo.»
S. Stryker, “Ciò che dissi a Victor Frankestein sopra il villaggio di Chamonix: un’interpretazione della rabbia transgender”
TITOLO: Le Mostruositrans – Per un’alleanza transfemminista fra le creature mostre
AUTORз: FILO SOTTILE
EDITORE: Eris Edizioni

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