Appropriazione e turismo culturale
Molti di noi subiscono la fascinazione e l’attrattiva di culture differenti da quella in cui siamo stati educati e cresciuti. Per gli scrittori e le scrittrici di fantastico e fantascienza, questa fame di alterità si traduce nell’inclusione di elementi propri di altre culture dei propri romanzi.
Questa è una serie di articoli sulla narrativa inclusiva, rappresentazione e inclusione dovrebbero essere sempre incentivati. Giusto?
Il fatto è che la nostra terra incognita potrebbe essere la casa di qualcun altro. E se decideremo di entrarvi da colonizzatori, da turisti, o da ospiti – il trattamento che ne riceveremo sarà diverso, e diversa l’esperienza che saremo in grado di narrare.
Scrive Nisi Shawl nel suo saggio “Appropriate cultural appropriation”:
Readers looking for something “different” in fantastic fiction, and authors who attempt to supply them with it, often turn to mythologies, religions, and philosophies outside the dominant Western paradigm. Then, not too surprisingly, people who practice these religions or espouse these philosophies or descend from whose who constructed these mythologies object. Their culture, they complain, is being misrepresented, defaced, devalued, messed with. Stolen.
Nisi Shawl, “Appropriate cultural appropriation” in “Writing the Other”
Questo fenomeno è noto come appropriazione culturale. Molti autori a questo punto alzano le barricate della libertà di parola: “Dobbiamo quindi ridurre ogni storia a un’autobiografia? Si può scrivere solo di ciò che si è vissuto?”
Questa obiezione può apparire ragionevole, ma si basa su un presupposto errato – che alla cultura non sia possibile dare un valore commerciale ed economico (come ne ha, invece, un pezzo di terra o il lavoro retribuito). Seguiamo invece questo agile sillogismo: l’arte va retribuita. La cultura genera arte. Quindi, la cultura va retribuita.
Se un autore prende da una cultura senza dare nulla in cambio, non sta esercitando la propria libertà di pensiero e parola, ma rubando. Rubando una merce che, per molte minoranze continuamente vittima di queste incursioni, è spesso la sola cosa rimasta dopo secoli di oppressione coloniale.
Le gradazioni nel mezzo
Tra l’appropriazione culturale e la rimozione di ogni etnia diversa dalla propria, per fortuna, passano parecchie gradazioni di buon senso. L’esperienza di lettori ci insegna che sia possibile parlare del diverso e prendere in prestito tropi di altre culture. Conta il modo in cui questo viene fatto.
- Gli invasori arrivano all’improvviso, prendono ciò che vogliono e lo usano come più gli aggrada. Distruggono senza pensare tutto ciò che sembra loro privo di valore. Si fermano quel tanto che gli serve, poi passano oltre. Tutto appartiene loro di diritto.
- I turisti sono attesi. Per gli autoctoni sono una seccatura, ma almeno pagano la propria permanenza. Alcuni turisti arrivano senza sapere cosa troveranno, ma possono imparare. Alcuni di loro vogliono imparare.
- Gli ospiti sono invitati. La loro relazione con chi li accoglie può trasformarsi in un impegno a lungo termine (ed è spesso reciprocato).
Molti, troppi autori si comportano come invasori. Le loro storie sono un’accozzaglia di elementi separati (un tatuaggio qui, una canzone sacra là, collane di fiori – ed ecco un’isola del Pacifico! O, perché no: pizza, pasta e una Vespa per una degna rappresentazione dello Stivale) estrapolati dal contesto originale e sfruttati per dare una cornice esotica. Ancora più sgradevole appare l’invasore che popola queste contrade con la propria gente:
That this Island’s analogue was inhabited by blond, blue-eyed people may have been meant to soften the act of appropriation by distancing readers from its victims. Or the point may have been to allow the blue-eyed author or reader easier identification and access. The effect, unfortunately, was one of cultural theft squared. Not only were the appurtenances of the culture removed from their native settings, they were placed in the hands of people deliberately marked as racially distinct from their originators.
Nisi Shawl, “Appropriate cultural appropriation” in “Writing the Other”
Una rappresentazione onesta
Quando possibile, il punto di vista migliore da cui narrare una storia trans-culturale è quello dell’alieno. L’esperienza dell’alieno somiglia a quella dell’autore, nel senso che entrambi devono approcciare con cautela qualcosa di diverso: come il turista, devono mantenersi vigili e osservare ciò che li circonda, consapevoli del proprio bagaglio culturale e di come questo possa influenzare il loro sguardo. (È una fortuna che il fantastico e la fantascienza abbiano già a disposizione questo archetipo; purtroppo spesso deludenti i risultati.)
Domande da porsi prima di iniziare
La rappresentazione di una cultura richiede attenzione a paesaggi, dialoghi, azioni, storia e tradizioni. Anche se mossi dalle migliori intenzioni, potrebbe sfuggirci qualcosa: ecco quindi alcune domande che guidino il processo inventivo e permettano di scovare dei problemi di appropriazione prima che arrivino al pubblico.
- Lo scenario prescelto somiglia a una cartolina statica, sigillata allo sviluppo tecnologico e all’influenza di culture vicine (oltre che a forze climatiche e/o geologiche)?
- Nel tentativo di creare un’ambientazione originale, hai adottato un approccio “mix-and-match” – includendo alcuni aspetti della cultura e tralasciandone altri perché giudicati irrilevanti o sgradevoli? Il materiale che hai scartato potrebbe apparire cruciale ai membri o discendenti di quella cultura, o addirittura rendere incomprensibile ciò che hai scelto di tenere.
- La cultura che stai rappresentando è funzionale alla storia, o serve solo per colorare avvenimenti che potrebbero avvenire ovunque?
Sicuramente un’ambientazione diversificata e complessa rappresenta una ricchezza per una storia. Tuttavia, non possiamo dimenticare che l’aver usufruito dei frutti di una cultura comporta delle responsabilità verso la fonte: riconoscerla come tale, per prima cosa; e poi proteggerla, supportarla, farla conoscerla ad altri. Non inquinarla:
The valid information becomes indstinguishable from errors, misinterpretations, and deliberate fabrications made on the part of the transmitter. (…) Honesty and precision are one form of currency.
Nisi Shawl, “Appropriate cultural appropriation” in “Writing the Other”
Nella scrittura di fantastico e fantascienza, separare in modo chiaro realtà culturale e finzione è un gesto dovuto; perché anche altri dopo di noi possano trovare acqua limpida di cui irrorare il proprio immaginario.
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