Aggettivi ricorrenti e altre storie di dissimmetria semantica
Nei precedenti due articoli di questa serie abbiamo affrontato il problema del sessismo linguistico da un punto di vista generale (cioè in forma di indagine, per valutare quali fossero le opinioni più popolari in merito) e analitico (prendendo il via dal saggio di A. Sabatini per valutare possibili soluzioni alla cosiddetta dissimmetria grammaticale). Per chiudere il cerchio sulla questione, è ora necessario soffermarci su quello che viene identificato come il reale veicolo del messaggio sessista, ovvero la norma di utilizzo (dissimmetria semantica).
Con dissimmetria semantica intendiamo tutti quegli aspetti estranei alla regola grammaticale, alla morfologia e alla sintassi che sono entrati nell’uso comune, in forma di perifrasi, aggettivi, etc. utilizzate esclusivamente per parlare delle donne. Sabatini individua tre tipologie: polarizzazione semantica di aggettivi e immagini; metafore e similitudini stereotipate; forme di identificazione della donna attraverso l’uomo.
Identificazione della donna
L’esempio di dissimmetria semantica più facile da individuare è la presentazione della figura femminile esclusivamente in termini di relazione con una figura maschile di riferimento. Così, la donna viene presentata come moglie di, figlia di, madre di… anche quando la donna in questione è nota (o ignota) quanto il marito/padre/figlio.
Metafore e similitudini
Una seconda tipologia di dissimmetria di natura semantica è quella relativa all’uso dell’immagine (metafore, metonimie, sineddochi, eufemismi…) e al tono del discorso. In particolare, c’è un mondo di metafore e similitudini stereotipate tratte dal mondo vegetale e animale che hanno poco – o nessun – corrispondente maschile. La maggior parte di queste metafore fa riferimento a animali notoriamente poco intelligenti (gallina, oca), infidi (vipera, serpe) o imprevedibili e sensuali (tigre, pantera, gatta).
Secondo Sabatini, ancora più grave è però il tono utilizzato per parlare delle donne in senso ampio. I mass media soprattutto usano un registro riduttivo, condiscendente e superficiale, che ha l’effetto di banalizzare e sminuire le caratteristiche professionali di una donna, spostando l’attenzione sulla sua “femminilità” invece che sul contenuto del messaggio e della notizia.
Aggettivi, sostantivi e verbi
Un discorso più ampio meritano aggettivi, sostantivi e verbi, cui una ricorrenza ossessiva ha di fatto assegnato un genere secondo gli stereotipi uomo/donna.
Aggettivi
In uno studio condotto su oltre 350 libri per bambini di dieci diverse case editrici, Irene Biemmi individua una decisa categorizzazione degli aggettivi attribuiti alle femmine rispetto che ai maschi.
Maschi | Sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso. Onesto, ambizioso, minaccioso, pensieroso, concentrato, bruto, avventuroso, autoritario, furioso, generoso, fiero, duro, egoista, iroso, virtuoso, tronfio, saggio, deciso, audace, libero, impudente. |
Femmine | Antipatica, pettegola, invidiosa, vanitosa, smorfiosa, civetta, altezzosa, affettuosa, apprensiva, angosciata, mortificata, premurosa, paziente, buona, tenera, vergognosa, silenziosa, servizievole, comprensiva, docile, deliziosa, delicata, disperata, ipersensibile, dolce, innocente. |
L’evidente discrepanza tra gli aggettivi applicati a maschi e femmine è un dato oggettivo, ma facciamo un passo oltre. Da questa lista emerge un’immagine del maschio forte (violento?) e quella di una femmina superficiale, emotiva, e bisognosa di protezione; una retorica vittima/carnefice che siamo ormai tristemente abituati a sentire dopo l’occasionale (non raro) fatto di cronaca nera. Inoltre, gli aggettivi tendenzialmente positivi vado a descrivere i maschi, mentre quelli squalificanti entrano nell’immaginario di donne e bambine.
Diminutivi e vezzeggiativi
Un caso altrettanto evidente di dissimmetria semantica è legato all’uso di diminutivi e vezzeggiativi. Sebbene non sia appannaggio esclusivamente femminile (per le femmine si usano diminutivi quali manine, grassottella, sorellina; per i maschi troviamo musetto, nipotino, spallucce), è nelle descrizioni degli ambienti e degli oggetti che si nota la ricorrenza di diminutivi e vezzeggiativi quando la protagonista della scena è una femmina.
Ogni oggetto toccato da una bambina diventa automaticamente “piccino”, il bicchiere diventa un “bicchierino”, il lenzuolo un “lenzuolino” (…). Si tende in tal modo a sottolineare il luogo comune secondo cui la femmina è dolce, delicata e piccina.
Irene Biemmi in “Educazione sessista: Stereotipi di genere nei libri delle elementari”
Attributi
Infine, Sabatini individua una vera e propria polarizzazione semantica di aggettivi e sostantivi, che vanno ad assumere significati differenti a seconda che siano attribuiti a un uomo o a una donna. Per esempio, “libero”, se riferito a un uomo mantiene connotazioni morali e intellettuali, mentre riferito a una donna ne specifica il comportamento sessuale. La questione è stata recentemente portata alla ribalta dall’attrice Paola Cortellesi, che ne ha ricavato un bellissimo monologo.
Che futuro per la nostra lingua?
Fino a che non ci saremo liberati di queste diseguaglianze intrinseche non della lingua italiana, ma dell’uso che l’abitudine ci ha portato a farne, le nostre storie perpetreranno stereotipi di genere. Come ricorda Elena Gianini Belotti:
Riteniamo le storie per bambini più innocue di quanto non siano. Invece, con questo mezzo, sono trasmessi i valori culturali della società in cui viviamo, cioè indicazioni precise di come si vive o si dovrebbe o si vorrebbe che si vivesse, di ciò che è bene e di ciò che è male, di ciò che è bello e di ciò che è brutto, di quello che è augurabile e di quello che non lo è.
Elena Gianini Belotti, in “Sessismo nei libri per bambini”
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