Sensitivity readers: a che punto siamo con editor della diversità
Come sapete, noi di Moedisia abbiamo una vera e propria fissazione per inclusività e rappresentazione. Ne abbiamo parlato ampiamente in numerosi articoli a tema, dedicati a maternità e gravidanza, oppure rappresentazione di persone appartenenti a diverse etnie. Tuttavia, siamo consapevoli che lo studio e la preparazione “scolastica” possano arrivare solo fino a un certo punto. Alla fine dei conti, è necessario confrontarsi direttamente con persone che vivono la cultura o la situazione che si desidera raccontare, per comprendere se lo si sta facendo in modo appropriato.
(Per decidere se sia opportuno o meno scrivere di una cultura molto lontana dalla propria, rimandiamo all’articolo dedicato all’appropriazione culturale).
Nel mondo anglofono esistono già professionisti che offrono il proprio bagaglio culturale ed esperienziale per aiutare chi scrive a rappresentare rispettosamente una minoranza. Sono i sensitivity readers, o editor della diversità.
La nostra esperienza con editor della diversità
Rispetto alle figure di editor tradizionali, il cui compito spazia dall’identificazione di punti di debolezza dell’intreccio ad affinamento dello stile del manoscritto; il ruolo dell’editor della diversità è intervenire sulla rappresentazione di caratteri o di una cultura a cui lui o lei stesso appartiene. A nostra conoscenza, attualmente in Italia questo lavoro è svolto soltanto dal duo di Witty Wheels: Maria Chiara ed Elena sono blogger che si occupano di disability justice e di contrasto all’abilismo, e offrono consulenza e formazione a partire dalla propria preziosa esperienza personale e da un notevole bagaglio tecnico e di studi.
Noi stesse ci siamo affidate a Maria Chiara ed Elena per un consulto tecnico, e abbiamo potuto beneficiare della loro preparazione e capacità di divulgazione in un ambito (la rappresentazione della “disabilità”) in ci siamo scoperte particolarmente parziali. I loro commenti ci hanno permesso di individuare trappole linguistiche e logiche, a noi invisibili, che avrebbero minato il messaggio che volevamo veicolare.
Si è trattato di un’esperienza molto positiva, che ripeteremo senz’altro e che ci sentiamo di consigliare.
Diventare e trovare editor della diversità in Italia
Mancano invece del tutto editor della diversità appartenenti a minoranze etniche o alla comunità LGBTQ+, ulteriore segno dell’arretratezza del nostro Paese su questo tema. Un’arretratezza che si mostra sia in forma di chiusura totale alle sue potenzialità di arricchimento (la figura dell’editor della diversità è diventata un’appendice del “politicamente corretto”, percepita come uno strumento di censura… Prima ancora di comparire in Italia, ha già una pessima nomea!) che di difficoltà oggettiva nella formazione di questə professionistə.
Chi volesse diventare sensitivity reader in Italia deve infatti fare riferimento al dibattito sull’inclusività in corso negli USA, inevitabilmente radicato nell’esperienza statunitense. Sebbene non manchino punti di contatto, è però innegabile che l’esperienza italiana meriti riflessioni distinte per affrontare i suoi problemi specifici: rigurgiti di fascismo, un passato coloniale nascosto sotto il tappeto, maschilismo e patriarcato.
Inoltre, al momento non esistono risorse che mettano in comunicazione chi cerca editor della diversità con chi può offrire questo servizio. Anche perché – lo ripetiamo – non basta appartenere a un particolare gruppo per offrire questo servizio di consulenza. Sono necessari anche sensibilità a ogni tematica di rappresentazione e preparazione da editor. Persone con queste caratteristiche sono perle rarissime: più di frequente ci si imbatte in cialtroni (sì, ci è capitato).
L’esperienza degli USA
È una strada in salita, in cui continuano a mancare i punti di riferimento.
Anche il più grande database di editor della diversità (il sito web “Writing in the Margins”) ha ormai chiuso i battenti da tre anni, dopo innumerevoli attacchi da parte di lettorato ed editoria tradizionale. I vecchi modelli sono duri a morire:
Non era mai stato questo lo scopo degli editor della diversità, e più vedo questo processo abusato da persone che espropriano le storie altrui, meno sono riuscita a promuovere l’editing della diversità come un valore aggiunto per persone marginalizzate. A mio parere, esso è un altro modo per le voci che già dominano la conversazione di continuare a parlare sopra gli oppressi. (…) Credo ancora che l’editing della diversità possa essere uno strumento prezioso per quegli autori e autrici che si sono fatti degli scrupoli e hanno lavorato sodo per analizzare il proprio posto all’interno dei sistemi di oppressione. Ma per coloro che vedono la diversità come un modo di fare soldi facili, è un altro modo per mantenere la risonanza editoriale di voci appartenenti a identità centrali.[1]
Justina Ireland, “Goodbye, Sensitivity Readers Database”, 26/02/2018.
Se negli USA la situazione è tanto difficile da far chiudere questi database, verrebbe da credere che per l’Italia non ci siano proprio speranze. Noi ovviamente non la pensiamo così. Già da anni lavoriamo per creare, anche in casa nostra, un terreno in cui iniziative come questa possano attecchire più facilmente. Al momento stiamo lavorando a un Manuale di Scrittura Fantastica Inclusiva, ma non escludiamo, in futuro, di sviluppare noi stesse un database per sensitivity readers.
E a proposito: se credete di avere le caratteristiche sopra elencate, o desiderate far leggere il vostro manoscritto a editor della diversità, contattateci!
[1] This was never the point of Sensitivity Readers, and the more I see this process abused by people already undertaking to tell the stories of others, the less I have been able to promote Sensitivity Reading as a boon to marginalized peoples. It is, in my estimation, another way for the voices already dominating the conversation to continue to talk over the oppressed. (…) I still believe that Sensitivity Reading can be a valuable tool for those authors who have done the due diligence and have worked hard to analyze their own place within systems of oppression. But for those who see diversity as a way to make a quick buck, it is one more tool to keep the voices of centered identities the loudest in publishing.
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