Oltre lo Specchio: i film che abbiamo visto

Parliamo ancora di Oltre lo Specchio, il festival dedicato all’immaginario fantastico e fantascientifico, ormai giunto al termine della sua prima edizione. In qualità di inviata speciale, ho avuto il piacere di vedere film che, normalmente, non avrei mai incontrato – un po’ perché la programmazione dei nostri cinema preferisce dare spazio a voci e volti noti, un po’ perché è difficile trovare una collocazione per opere sperimentali come molte di quelle presentate durante questo festival. Vi parlerò di tre di queste pellicole, scelte perché provenienti da tre diversi angoli del mondo… E per una volta, il mondo non è quello anglofono.

AVERNO

Tupac, giovane e umile lustrascarpe, decide di andare in cerca dello zio Jacinto, di cui non ha più notizie. Per compiere l’impresa deve raggiungere l’Averno, misterioso luogo in cui gli abitanti andini credono coesistano i vivi e le anime passate all’Aldilà. Tra singolari incontri e un continuo confronto con le sue paure più recondite, per Tupac sarà l’inizio di un viaggio oscuro e metafisico.

Boliviano, classe 1959, Marcos Loayza è architetto, regista e sceneggiatore. Con Averno, ha scritto e diretto un affascinante adventure-drama che affonda le sue radici nell’antico mito dell’Oltretomba, regno capace di stimolare sinistre suggestioni e visioni fantastiche. La continua sovrapposizione di realtà è immaginazione, i ritorni ciclici di elementi magico-mitologici, la fantastica sovrapposizione di sacro e profano sfumano i contorni di un viaggio intrapreso da nomi più noti di quello del giovane Tupah. Non ancora uomo, non più bambino, Tupah si aggira nelle strade della sua terrosa città come un ospite. Le sue scale scendono sempre, diventano tunnel, diventano cantine allagate e cimiteri senza ossa. Non ha nessun Virgilio a guidarlo, perciò è facile preda di chi lo vuole ingannare e portare fuori strada, come se la possibilità della sua caduta – biblicamente intesa – fosse ciò che muove il mondo. Nell’arco di una notte si gioca la partita per la sua anima. Trafficanti di droga, incontri di lotta clandestina, furti e omicidi, prostituzione e gioco d’azzardo; i nemici della luce del giorno sono trasfigurati da quella della luna, si muovono impuniti e rivelano zampe caprine. Tupah gli si accompagna con leggerezza, cambia maschera, cambia pelle. Fino a che non gli viene ricordato che per entrare all’Averno dovrà lasciarle tutte indietro, o diverranno per sempre parte di lui.

Una discesa agli inferi per imparare a vivere.

CALL FOR DREAMS

In una Tokyo piovosa e notturna, illuminata dalle luci al neon, Eko si trova ad affrontare una serie di complicate situazioni, dopo aver pubblicato su un giornale un annuncio in cui cerca sconosciuti che condividano con lei i propri sogni. La sua vicenda coinvolge anche un’indagine criminale condotta a Tel Aviv da un detective israeliano.

Regista, videoartista, compositore e musicista nell’ambito dell’elettronica sperimentale, Ran Slavin, israeliano di Gerusalemme, vive ogni forma d’arte secondo uno spirito di innovazione che guarda al futuro e all’evoluzione tecnologica. Attraverso suggestioni neo-noir, ha dato vita a un enigmatico e poetico thriller di seducente fascino e accattivante stile espressivo. Solitudine e incomunicabilità si manifestano in una virtuosistica messa in scena che guarda alle installazioni contemporanee, alle potenzialità del digitale e al rinnovamento dei codici del linguaggio cinematografico.

Ipnotico, onirico. Realtà e sogno di fondono in una vicenda narrata – se così si può chiamare un insieme di spunti e sensazioni, di dialoghi circolari e spunti lasciati a metà – in modo non lineare, in cui una donna deve smettere di nascondersi dietro (o dentro?) i sogni di altri. Ammesso che non siano quegli stessi sogni a darle vita, come insistentemente suggerisce il film: “È il sognatore a sognare il sogno, o il sogno che sogna il sognatore?” In ogni caso, in Call for dreams si vive e si muore con il battito del cuore di qualcun altro.

Una breve chiacchierata con il regista, presente in sala, non è servita a chiarirci le idee: che fosse suo desiderio veicolare la sensazione di perdita d’equilibrio di certi sogni confusi, uno straniamento un po’ surreale? Di certo non ha aiutato la comprensione la scelta del regista di tagliare mezz’ora di riprese dalle due ore preventivate. O forse doveva proprio essere così, considerato che nella realtà il film ha preso il via dalle medesime mosse di Eko: un regista israeliano ha chiesto su una bacheca virtuale che gli raccontati dei sogni…

HOFFMANIADA

Hoffman è un giovane avvocato con ambizioni artistiche che vive vicariamente tramite l’affascinante Anselmo, un archiviata innamorato della donna-serpente Serpentina. I suoi sogni sono minacciati dall’uomo della sabbia Coppelius, che lo strega tramite l’automa Olimpia. Una girandola di incubi, misteri e fantasie lega la vita di E.T.A. Hoffman ai suoi racconti.

Stanislaw Sokolov, russo , lavora a questo progetto d’animazione a passo uno da diversi anni, tra alterne fortune. L’idea di base è mescolare la biografia dello scrittore romantico ottocentesco Hoffman con alcuni dei suoi personaggi più noti. Nel film trovano così posto il racconto “L’uomo della sabbia (1816), le novelle “Il vaso d’oro” (1814) e “Il piccolo Zaccheo detto Cinabro” (1819), oltre a qualche riferimento al racconto “Schiaccianoci e il re dei topi” (1816).

Hoffamaniada è un elaborato viaggio onirico nella mente di un artista poliedrico, riconosciuto come uno dei primi scrittori fantasy della storia. La bizzarra espressività delle marionette ci accompagna in un viaggio di scoperta in cui bello e spaventoso sono due facce della stessa medaglia, e dove stupore e meraviglia sono essi stessi forme di comprensione. Hoffman è il primo a stupirsi della propria forza immaginifica, vi sprofonda e vi si perde. Il mondo reale, semplicemente, non gli offre attrattiva paragonabile a ciò che incontra quando intinge la penna nel calamaio. E la magia è lì a portata di mano, in uno schizzo d’inchiostro o oltre i vetri di un binocolo. Ma non è escapismo: da ogni suo viaggio Hoffman riporta qualcosa, fossero anche soltanto le visioni di Atlantide.  Anche nella sua solitudine e tremenda indigenza, non è mai solo. I personaggi cui ha dato la vita vengono a trovarlo e gli sopravviveranno, regalandogli l’immortalità che è propria degli eroi.

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