L’abilismo nel fantasy: tra esclusione e distorsioni

L’articolo che segue è da intendersi a corollario del panel sull’abilismo nella narrativa fantastica svoltosi in occasione del festival Stranimondi 2023, dal titolo “Mostruosi, inquietanti e antagonisti: rappresentazioni aboliste nel fantasy” con Claudia Maltese, Gloria Bernareggi e Sephira Riva. Puoi recuperare l’intervento registrato sul nostro canale Instagram.

L’abilismo è, come altri -ismi più noti, un’ideologia che giustifica su basi parascientifiche la discriminazione di un certo gruppo di persone, nello specifico quelle che non rientrano in certi parametri standard riguardanti il corpo-mente, la sua forma e le sue abilità. Detto con parole più semplici, l’abilismo è la discriminazione verso le persone disabili.

Questa discriminazione si può declinare in tantissime forme: da quelle più eclatanti e inconfondibili come la violenza fisica e verbale, agli abusi psicologici, fino a una silenziosa e cauta esclusione e invisibilizzazione delle persone disabili. Questa si attua rendendo inaccessibili i luoghi fisici (le ormai tristemente famose barriere architettoniche, di cui fanno parte anche quelle sensoriali) ma anche gli spazi sociali e, nei nostri tempi, quelli virtuali… ovvero tutte le situazioni in cui si avviene un qualche tipo di socializzazione, di aggregazione, in cui si fa amicizia, si conosce altra gente, si studia, ci si svaga, si creano progetti insieme, eccetera.

L’esclusione delle persone disabili dalle reti sociali comporta per loro impoverimento non soltanto relazionale ma – come è facile immaginare quando questi contesti sono quelli scolastici, universitari e lavorativi – anche strettamente economico e materiale.

E, dall’altra parte, crea un’immagine falsata della realtà, una sorta di fotografia distorta in cui i corpi-mente disabili non esistono semplicemente perché non si ha (quasi) mai l’occasione di incontrarli.

Un’esclusione sottile: l’abilismo in narrativa

Un altro piano di discriminazione si trova, però, anche nelle realtà costruite artificialmente, cioè in quelle narrative che sono quelle di cui – dopo questa lunga ma, credo, necessaria premessa – vorrei provare a ragionare insieme a voi.

Cresciamo circondatə da narrazioni: fiabe, cartoni animati, fumetti, film, romanzi, serie tv, eccetera. Le storie sono una parte fondamentale del nostro esistere e svilupparci come esseri umani. Fin da piccolə cerchiamo in queste storie qualcosa che parli di noi, perché raccontiamo (e ascoltiamo e leggiamo) storie per provare a sciogliere i misteri del nostro sentire, i dilemmi etici, i turbamenti emotivi, per conoscere e riconoscere, cioè, cosa ci rende umani.

E, prima o poi, tuttə ci imbattiamo in quel tal personaggə o in quella determinata situazione che sembrano proprio ricalcare il nostro vissuto.

Non si tratta soltanto di una soddisfazione temporanea e superficiale: avere dei modelli, dei punti di riferimento può essere fondamentale per conoscere noi stessə, per capire come ci relazioniamo con il resto del mondo, per avere una bussola che ci aiuti a orientarci tra le scelte della vita.

Rappresentazioni mancate e stereotipi

E se così non fosse? Se mai, in anni e anni di libri letti, di fiabe ascoltate prima di addormentarci, di film al cinema con lə amicə, ci fosse capitato di incontrare unə personaggə che ci somiglia, una situazione che abbiamo vissuto o che stiamo vivendo?

O – e forse è anche peggio – se quel personaggə che ci somiglia fosse poco più che una macchietta, una caricatura strapiena di stereotipi e luoghi comuni, condannata a recitare il solo ruolo (un ruolo sempre marginale o sempre da antagonista, ad esempio) che può competergli in virtù del suo avere un corpo-mente di un determinato tipo?

Ecco, l’abilismo si cela anche nelle rappresentazioni mancate o stereotipate dellə personaggə disabili nelle narrazioni.

Fantasy e corpi non conformi

Il fantastico ha immaginato tante volte e in tanti modi diversi il corpo non conforme, a volte sfuggendo alle logiche abiliste della nostra società, altre volte aderendo ai suoi più convalidati stereotipi e pregiudizi. Così, è facile che una deformità sia la punizione per un atto compiuto in precedenza (o addirittura dallə genitorə) o che sia la condizione da cui sottrarsi prima di iniziare una nuova – migliore – vita, come ad esempio accade a Yennefer di Vengeberg, la potente strega di The Witcher (o meglio, quella che diventa una potente strega dopo aver assunto fattezze completamente nuove). Spesso, nel fantastico, la disabilità è raffigurata come un peso di cui liberarsi e il passaggio a persona non-disabile rappresenta il premio che l’eroe/eroina ottiene alla fine delle sue imprese.

Il messaggio che passa è, quindi, che essere disabili è una sfortuna di cui si può sognare di liberarsi attraverso, per esempio, la magia. Ma non è così! Essere disabili è solo una delle infinite possibilità di essere al mondo e la disabilità non è sinonimo di una vita triste, vuota e insoddisfacente.

Appropriazione esperienziale

La reiterazione di questi pregiudizi abilisti dipende dal fatto che molto – troppo – spesso lə personaggə disabili sono scrittə e/o interpretatə da persone non-disabili. Se abbiamo accettato che, ad esempio, unə attorə biancə non può interpretare unə personaggə bipoc, perché non accettiamo l’idea che unə attorə non-disabile non può interpretare unə personaggə disabile? E perché scrittorə non-disabili scrivono personaggə disabili quasi sempre senza il supporto di persone disabili che possano fare da “modellə” o da consiglierə durante la stesura delle storie?

Ci siamo accontentatə di chi ci ha detto che la disabilità è una cosa orribile, che le persone disabili sono infelici e che hanno come solo desiderio quello di essere non-disabili… e così abbiamo trasportato l’abilismo anche nei mondi fantastici.

Ma è arrivato il momento (da un bel po’, a dire il vero) di riconoscere il diritto all’autodeterminazione delle persone disabili, che passa anche attraverso l’autorappresentazione: che lə attorə che interpretano personaggə disabili siano attorə disabili, che lə scrittorə che inventano personaggə disabili siano scrittorə disabili o che siano disposti a confrontarsi con persone disabili per creare situazioni non stereotipate e non abiliste nelle loro storie.

Il potenziale del fantastico

La più grande dote che ha il fantastico è, forse, quella di parlare di noi, del nostro presente, attraverso luoghi e tempi inaccessibili alla nostra esperienza diretta. Il fantastico, insomma, sa essere politico quando usa un nuovo immaginario, creato dalla mente dellə autorə, per farsi sguardo indagatore e critico della nostra realtà. Numerose distopie ci hanno insegnato il valore della libertà e il pericolo del monopolio del potere (come, ad esempio, 1984); ci hanno messo in guardia contro le derive patriarcali e misogine (come accade ne Il racconto dell’ancella); ci hanno ricordato gli orrori del colonialismo (pensiamo al film Avatar, per citarne uno) e ci hanno messo in guardia verso la nostra scarsissima tutela degli ecosistemi del nostro pianeta (gli esempi, come nei casi precedenti, sarebbero infiniti ma a volerne scegliere solo uno direi La strada). Tuttavia, fatichiamo a immaginare società in cui le persone disabili esistono senza subire discriminazioni, in cui le strutture urbane sono accessibili, in cui le barriere sensoriali vengono abbattute grazie alla tecnologia – o anche alla magia, se vogliamo.

Auspichiamo nuove storie e nuovə personaggə che sappiano davvero decostruire i pregiudizi abilisti del nostro mondo e che possano muoversi finalmente liberə in spazi in cui ogni corpo-mente ha diritto a un’esistenza piena, soddisfacente e felice a prescindere dalla sua forma e dalle sue abilità. Perché se una buona storia può cambiarci la vita, una buona capacità di immaginare realtà più giuste, plurali e accoglienti può essere la base per migliorare le nostre esistenze.

TITOLO: Decostruzione antiabilista

AUTORƏ: Claudia Maltese e Gresa Fazliu

EDITOREEris Edizioni

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