“Io, scrittore”: una moda che non accenna a passare

A quanti di voi frequentatori dei social media sarà capitato di imbattersi in personaggi singolari, dai nominativi bizzarri? Mi riferisco a quanti uniscono al proprio nominativo la professione: idraulico, benzinaio, manager… Mai incontrati?

No, eppure c’è una categoria che non riesce proprio a fare a meno di questa etichetta non richiesta: “Anna Strazio, scrittrice” si grida da Facebook e da Instagram.

Perché? Che tipo di validazione fornisce il termine scrittore in un universo di profili di coppia, profili falsi, profili nella cui cronologia è meglio non perdersi? Perché questa validazione è sentita come necessaria? E soprattutto – è una moda dannosa?

Per rispondere a queste domande, facciamo un passo indietro.

“Io, scrittore” e il paradosso dell’opera finita

Nei due articoli precedenti di questa serie ho affrontato il tema del paradosso dell’autore, che non viene considerato tale fino a che non ha completato la sua opera – quando cioè non sta più scrivendo – e il fatto (ovvio) che saper scrivere non significhi automaticamente essere uno scrittore. Ho individuato quattro qualità quantificabili in grado di distinguere lo scrivano dallo scrittore: tempo, grammatica, ritmo e struttura. Trovate le due puntate qui e qui.

Tuttavia, quelli da me individuati non sono i parametri con cui viene assegnata la qualifica di scrittore. Piuttosto, si utilizzano marcatori economici (il numero di copie vendute, di ristampe…) o sociali (il numero di presentazioni e firmacopie, di premi e riconoscimenti, di concorsi; con quale casa editrice ha pubblicato…).

Questi parametri, oltre a non avere nulla a che fare con l’atto di scrivere, cioè ciò che rende uno scrittore tale, contribuiscono alla generale confusione che regna intorno a questa qualifica. Lo scrittore non è più un artigiano come molti altri, ma un’entità fluida in cui si perde completamente il concetto di lavoro. “Anna Strazio” non fa la scrittrice. È scrittrice.

La febbre dello scrittore

Tutti vogliono essere scrittori. In Italia, secondo dati resi noti da AIE per il 2016, circa 27 000 autori si sono autopubblicati, sia in carta che in digitale; a cui si vanno a sommare le oltre 60 000 opere pubblicate nello stesso anno con editori tradizionali. Sono numeri enormi.

In un Paese come il nostro, che legge sempre meno, da dove deriva questa febbre dello scrittore?

Ho trovato un’analisi intelligente del fenomeno nel blog “Il giro del mondo attraverso i libri”:

Oltre all’impellente bisogno di condividere ogni santa cosa, i social network connettendoci col mondo ci hanno mostrato che siamo tantissimi su questa Terra, e questo ci ha portati all’urgenza di spiccare sugli altri, di distinguerci dalla massa. Dobbiamo prevaricare sul prossimo, convincerlo della nostra bravura, e soprattutto pubblicare la nostra storia perché forse abbiamo paura di restare anonimi o di essere dimenticati quando non ci saremo più.

Credo che siano questi i motivi per cui tanti vogliono pubblicare: l’urgenza della condivisione con il pubblico e la paura di restare anonimi. – Appunti Letterari, 30 ottobre 2015

Proprio alla necessità di distinguersi (o meglio, alla paura dell’anonimato) possiamo ricondurre il fenomeno fuori controllo dei numerosi “Io, scrittore”. In effetti, ecco cosa scriveva uno di loro sotto un articolo dedicato al fenomeno.

Commento
Commento all’articolo “Dirsi scrittori su Facebook e rendersi odiosi ai lettori in 8 semplici passaggi.”

Il punto di vista dell’utente in immagine è comprensibile e di sicuro condivisibile – o almeno condiviso, se non altro in termini di numeri. Tuttavia, ciò non significa che sia una buona pratica. Piuttosto, a sentire gli addetti ai lavori, fa più male che bene:

Facebook. Cosa ne pensi di questo strumento come mezzo alternativo di lavoro? E come lo consideri tra i vari canali di diffusione della conoscenza di Raul Montanari, scrittore e traduttore? Lo consigli o lo reputi un mezzo superfluo?

“Non c’è niente di più imbecille e insopportabile della marea di persone che su Facebook mettono nelle proprie note personali diciture come “Scrittore” o simili, quando non sono scrittori di nulla e per nessuno. A furia di insistere riescono al massimo a farsi leggere da una decina di poveri disgraziati, spesso nella loro stessa condizione. Facebook serve solo a chi scrittore lo è già, se non altro per avere pareri personali dai propri lettori. È molto interessante, questo. In generale, l’influenza del web sulle vendite di un libro è enormemente sopravvalutata da chi non sa niente del marketing librario. La sua incidenza sulla decisione d’acquisto non supera il 5%, anche volendo comprendere nel calcolo l’acquisto via Internet. In libreria, non ne parliamo”.

Raul Montanari, intervista ad affariitaliani.it del 26 luglio 2010.

Forse con un po’ di ingenuità, sono ancora convinta che un libro meritevole possa farsi largo da solo tra i lettori, veleggiando libero dal proprio creatore, come ogni altra opera d’arte. Lasciando indietro lo scrittore, diventato autore.

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