Il paradosso dell’opera finita: “Martin Eden”
Nel già controverso mondo della scrittura, spazio particolare occupa il dibattito sulla natura stessa dell’autore. A differenza di altre forme di arte, che richiedono materiali adeguati e presentano percorsi di didattica piuttosto riconoscibili, la scrittura soffre da sempre di un dramma tutto suo. Quando può una persona appassionata di scrittura definirsi uno scrittore o scrittrice?
NdA: Da ora in avanti userò il sostantivo “scrittore” come sostitutivo di “scrittore o scrittrice”.
Questa domanda ossessionava persino autori del calibro di Jack London, che ne fece il fulcro del suo “Martin Eden” (lettura imprescindibile per chiunque si approcci al mondo scrittura con spirito consapevole). Il romanzo tratta la difficile lotta di un marinaio analfabeta per diventare uno scrittore che riesca a vivere dei propri racconti.
La parabola di Martin, pur largamente positiva nel senso che generalmente attribuiamo al successo personale (egli riesce a colmare il divario intellettuale che lo separa dalla sua amata, raggiunge la fama e una straordinaria ricchezza) ha tuttavia un epilogo drammatico. Il “successo” arriva a caro prezzo: dopo il suicidio del suo migliore amico e mecenate e l’abbandono da parte della fidanzata. L’improvviso cambio di opinione nei suoi confronti da parte di quanti lo avevano apertamente osteggiato e deriso in precedenza non basta a colmare la voragine della perdita. Martin smette di scrivere, vendendo tutte le opere scritte in precedenza agli stessi che le avevano prima rigettate.
Opera finita. Quella piccola frase gli rodeva il cervello. (…) «Era un’opera finita! Ora mi dai da mangiare, ma allora mi lasciavi morire di fame, mi proibivi di venire a casa tua e imprecavi perché non volevo cercarmi un posto. Era un lavoro già fatto, completamente finito. Adesso, quando parlo io, non dici più quello che pensi; pendi dalle mie labbra e ascolti le mie parole con rispettosa attenzione. (…) Perché sono famoso e ho un sacco di soldi, e non perché sono martin eden, un tipo simpatico che di solito dice cose intelligenti. (…) Era un’opera finita; ti ripeto che era un lavoro già fatto quando tu mi disprezzavi e calpestavi come un verme schifoso.»
Mio Dio! Rifletté Martin, e pensare che ero misero e affamato! Perché non mi avete invitato a pranzo allora? Quello era il momento giusto. Se mi offrite la cena ora per un’opera finita, perché non lo avete fatto quando ne avevo bisogno? Ai due racconti non ho cambiato una sola parola. (…) Allora erano grandi e sublimi come adesso.
Jack London coglie il paradosso alla radice: gli stessi che chiedevano a Martin Eden di trovarsi un’occupazione mentre scriveva, sono pronti a onorarlo come scrittore una volta che la sua opera è terminata.
A differenza di un pittore, di un musicista, di un attore – ritenuti tali mentre disegnano, durante il solfeggio, in prova – allo scrittore non è garantito lo stesso. Forse perché il suo lavoro non richiede una strumentazione specifica, è più difficile percepirlo come tale; ma di lavoro si tratta.
Il lavoro dello scrittore è scrivere, la sua essenza si articola nell’elaborazione del suo testo. A determinare lo scrittore non può essere un’opera finita. E allora cosa?
TITOLO: Martin Eden
AUTORE: Jack London
EDITORE: Garzanti
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