Narrazioni possibili: un arco narrativo a misura di eroina

Il saggio “L’arco di trasformazione del personaggio” di Dara Marks è un vero long-seller per sceneggiatori e autori. A ragione: il suo approccio pragmatico (distillato dalla fiaba e dal Bildungsroman ottocentesco) ha contribuito a sviscerare il meccanismo dietro migliaia di storie di successo. D’altra parte, ha anche creato migliaia di cloni: narrazioni tutte uguali, che un pubblico sempre più attento non ha faticato a riconoscere come tali.

Per una trattazione dettagliata dell’approccio utilizzato da Marks nel saggio, vi rimando al testo originale (trovate i dettagli in fondo all’articolo). Il mio obiettivo oggi non è di esporre i numerosi meriti della narrazione ad arco, quanto di evidenziarne i limiti. Il primo di questi è evidente: il saggio di Marks prende il via dalle grandi narrazioni cinematografiche, che ha regole e restrizioni ben diverse da quelle di un romanzo. A cominciare dalla scansione temporale in minuti, che non ha senso riproporre in termini di pagine. Il secondo limite di questo modello narrativo è più implicito, e merita un approfondimento.

Un arco di trasformazione genderizzato

In uno splendido articolo dall’eloquente titolo “I don’t want to be the strong female lead” (New York Times, 7 febbraio 2020), l’attrice e regista Brit Marling racconta i suoi trascorsi nell’industria cinematografica americana. Ricordando le sue audizioni per le sole parti femminili disponibili (“robot girl, a remarkable feat of engineering”, “Dave’s wife”, e “her breasts are large and she’s wearing a red sweater”), Marling s’interroga sulla natura di una narrativa che oggettifica le donne e sulle sue alternative. Perché le donne indipendenti, coraggiose e autonome non possono avere un lieto fine?

Even the spirited Antigone, the brave Joan of Arc and the unfettered Thelma and Louise meet tragic ends in large part because they are spirited, brave and unfettered. They can defy kings, refuse beauty and defend themselves against violence. But it’s challenging for a writer to imagine a world in which such free women can exist without brutal consequences. (…)
There are centuries of trial and error inside the “hero’s journey,” in which a young man is called to adventure, challenged by trials, faces a climactic battle and emerges victorious, changed and a hero. And while there are narrative patterns for the adventures of girls — “Alice in Wonderland,” “The Wizard of Oz” — those are few and far between, and for adult women, even less so.

Brit Marling, “I don’t want to be the strong female lead” (New York Times, Feb. 7, 2020)

Dopo un successo indie, la carriera di Marling ha una svolta. L’attrice si trova a interpretare ruoli da protagonista: è diventata la donna forte che desiderava essere. O forse no?

Acting the part of the Strong Female Lead changed both who I was and what I thought I was capable of. Training to do my own stunt work made me feel formidable and respected on set. (…) It would be hard to deny that there is nutrition to be drawn from any narrative that gives women agency and voice in a world where they are most often without both. But the more I acted the Strong Female Lead, the more I became aware of the narrow specificity of the characters’ strengths — physical prowess, linear ambition, focused rationality. Masculine modalities of power.

Brit Marling, “I don’t want to be the strong female lead” (New York Times, Feb. 7, 2020)

Le conseguenze del modello della donna forte (o dell’archetipo dell’amazzone, di cui ho parlato ampiamente qui) sono più sottili del semplice assassinio di un personaggio femminile, ma egualmente insidiose. È l’annientamento del principio femminile, in tutte le forme in cui esso può esistere: nell’uomo, nella donna, nel mondo naturale. Non riconoscendo la forza insita in valori tradizionalmente femminili come empatia, capacità di ascolto, vulnerabilità; essi vengono rimossi. Quello che rimane è un uomo, ma nel corpo di una bella donna.

I don’t want to be the dead girl, or Dave’s wife. But I don’t want to be a strong female lead either, if my power is defined largely by violence and domination, conquest and colonization.
Sometimes I get a feeling of what she could be like. A truly free woman. But when I try to fit her into the hero’s journey she recedes from the picture like a mirage. She says to me: Brit, the hero’s journey is centuries of narrative precedent written by men to mythologize men. Its pattern is inciting incident, rising tension, explosive climax and denouement. What does that remind you of?
And I say, a male orgasm.
And she says: Correct. I love the arc of male pleasure. But how could you bring me into being if I must satisfy the choreography of his desire only?

Brit Marling, “I don’t want to be the strong female lead” (New York Times, Feb. 7, 2020)

Esiste un Bildungsroman femminile?

La modernità è fatta tutta di eroi giovani e il romanzo di formazione è l’arco di trasformazione per eccellenza. Il Bildungsroman intercetta la trasformazione del ragazzo in un uomo, ma soprattutto la saldatura dell’individuo alla società. Nel mezzo, tra il liceale e l’uomo di successo sicuro del proprio potere e dei propri mezzi, si srotolano avventure leggendarie, discussioni letterarie e filosofiche, lettere scritte e ricevute, amori fugaci. E poi il disciplinamento sociale: il matrimonio.

Raccontato in questi termini, il Bildungsroman può essere solo maschile. D’altra parte, nell’Europa di fine Ottocento, soltanto il giovane piccolo borghese è sufficientemente libero, mobile, colto da accedere a forme di istruzione superiore, o costruirsi una posizione economica indipendente.

Ma se vogliamo trovare esempi di un arco di trasformazione a misura di eroina, non dobbiamo cercare donne che abbiano ripercorso le orme di quegli eroi. Dobbiamo cambiare prospettiva.

La Bildung femminile, anziché perfezionarsi e mettersi alla prova nello spazio sociale e nell’itinerario geografico del Grand Tour, si compie nell’intus, nell’acquisire consapevolezza di sé, della propria forza e della propria volontà. (…) Il racconto di formazione di una donna è soprattutto un “racconto di relazioni”, la costruzione di una ragnatela di relazioni significative tra donne, relazioni sociali, intellettuali, simboliche, culturali e affettive.

“Un Bildung senza Roman. Donne in divenire” di Adriana Chemello. In “Il romanzo del divenire – Un Bildungsroman delle donne?”, a cura di Paola Bono e Laura Fortini. Iacobelli Edizioni, 2007.

Non più archi: maglie di trasformazione della personaggia

Se il Bildungsroman maschile può essere rappresentato da un arco narrativo, quello femminile è più simile a una maglia, un intreccio di fili verticali e orizzontali. Invece che essere strutturato come una ricerca egotistica e autonoma del proprio posto nella società (e tale società può essere Parigi nell’800, quanto un pianeta sabbioso ai confini della galassia), il percorso formativo di un’eroina consiste nella creazione e maturazione di rapporti di supporto, antagonismo o reciproco aiuto.

Le prime sono relazioni di tipo orizzontale che si esauriscono nell’orizzonte di una quotidianità, spesso legata a situazioni di mera sopravvivenza: sono rapporti di tipo simmetrico, alla pari, tra coetanee che si scambiano un reciproco dare ed avere, sono situazioni di “mutuo soccorso”, scarsamente valorizzanti per le soggettività coinvolte. Più importanti per la maturazione della protagonista e per la sua emancipazione intellettuale sono le relazioni di tipo verticale, quelle fondate sul riconoscimento di un’evidente asimmetria, su uno squilibrio originario proprio di ogni relazione magistrale, in cui l’allieva riconosce l’autorevolezza della maestra e riceve forza dal suo valore, da quel “di più” che a lei manca e dalla “fiducia” che le accorda.

“Un Bildung senza Roman. Donne in divenire” di Adriana Chemello. In “Il romanzo del divenire – Un Bildungsroman delle donne?”, a cura di Paola Bono e Laura Fortini. Iacobelli Edizioni, 2007.

Grandi autrici hanno fatto uso di questo schema, in modo più o meno consapevole: Brontë, Deledda, Cialente ci hanno restituito donne a tutto tondo, consapevoli e padrone del proprio destino. Non abbiamo certo la ricchezza di esempi fornita dall’arco di trasformazione del personaggio, ma quelli che possediamo non mancano di incisività. Soprattutto, dimostrano che sia possibile un modello di narrativa differente. Storie diverse, che non sono mai state raccontate.

Esattamente come è accaduto per il suo corrispettivo maschile, l’isolamento di uno schema narrativo non deve essere visto come una limitazione, ma come una possibilità. Possibilità, innanzitutto, di sviluppare il medesimo schema in modo trasversale (sfruttando cioè la moltitudine di conflitti e di topoi offerti dai differenti generi letterari). E poi, eventualmente, di modellarlo, cambiarlo, adeguarlo alle necessità narrative della realtà che ci circonda. Una realtà in divenire, in cui possano trovare spazio sia eroi che eroine. 

TITOLO: L’arco di trasformazione del personaggio

AUTRICE: Dara Marks

EDITOREDino Audino Editore

L'arco di trasformazione del personaggio
“L’arco di trasformazione del personaggio” di Dara Marks

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