Nuovi archetipi femminili: Medea
Ormai ve ne sarete resi conto: il tema dell’archetipo mi è molto caro. Vi ho già dedicato due articoli: il primo si impegnava a definirne la natura, il secondo identificava gli effetti a lungo termine dell’archetipo dell’amazzone nella letteratura Young Adult.
Il tema dell’archetipo mi è caro perché è importante. È tipico dei costrutti ricorrenti il diventare veicoli di significato, e gli archetipi fanno esattamente questo: rendono contemporanei schemi e soluzioni ancestrali. Fanno appello al nostro passato condiviso – s’intende, un passato ideale, raccontato da una voce sola. Nella misura in cui li riproponiamo nelle nostre storie e li rendiamo parte della nostra narrativa, gli archetipi reiterano se’ stessi.
Però.
Gli archetipi che ci hanno regalato i nostri predecessori non ci hanno reso un grande servigio. Gli archetipi femminili, soprattutto, hanno influenzato (influenzano) la nostra comprensione di fatti e avvenimenti che coinvolgono le donne. A partire dal dogma dell’incomprensibilità del mondo femminile da parte del maschio: una scusa riconducibile al paradigma della donna minervica.
La fallacia dei quattro archetipi femminili tradizionali mi ha spinta a cercare nuovi modelli nella letteratura contemporanea. Poiché quelli tradizionali prendevano le mosse dal pantheon greco-romano, è nella rilettura in chiave moderna di figure del mito classico che sono andata a cercare i nuovi archetipi femminili. Ne ho trovate tre. Tre donne, raccontate da due grandi autrici: Ursula K. Le Guin e Christa Wolf.
Medea, ovvero la profuga
Nell’immaginario collettivo, Medea è una diabolica assassina: una madre che uccide i propri figli, simbolo dell’irrazionalità violenta contrapposta al dominio del logos nel mondo greco.
Infatti [Giasone] non vedrà mai più vivi, in futuro, i figli avuti da me, né genererà un figlio dalla nuova sposa, perché lei, sciagurata, sciaguratamente dovrà morire per i miei veleni.
Euripide “Medea”, a cura di Alessandro Grilli (Carlo Signorinelli Editore), vv. 803-6.
Tuttavia, la Medea consegnataci dalle pagine di Euripide è un personaggio incredibilmente lucido. Le sue motivazioni sono limpide, addirittura condivisibili. Quando accusa il marito Giasone di mancanza di aidos, si sta rifacendo a un valore fondante la cultura greca:
Per Medea, la figura di Giasone è macchiata dalla mancanza di aidos, un valore essenziale nella cultura greca, i cui confini vanno molto al di là del moderno concetto di “pudore”. L’aidos è il ritegno di fronte a ciò che non è conveniente, sia nei confronti degli dèi, sia nei confronti degli uomini. L’immoralità di Giasone consiste nel proclamare il contrario di ciò che rivelano invece le sue azioni.
Euripide “Medea”, a cura di Alessandro Grilli (Carlo Signorinelli Editore), nota ai versi 469-72.
È difficile conciliare la donna che, da straniera, è in grado tuttavia di redarguire il marito sui suoi doveri di greco, con l’infanticida dominata dalla passione di poche pagine dopo. E infatti ecco che Christa Wolf si riallaccia a tradizioni antecedenti quella di Euripide, riconsegnandoci una Medea diversa: una cercatrice di verità, accusata di crimini che non ha commesso, incapace di difendersi in seguito alla perdita di radici e ideali che la sostengano.
Già sulle circostanze della nostra partenza dalla Colchide circolarono presto varie storie, spesso contrastanti. (…) Già durante la traversata qualcuno cominciò a esagerare la profondità dell’acqua, a parlare di una partenza estremamente pericolosa, di risacca e mare agitato, della loro accortezza e della loro audacia, cose a cui si doveva se tutte le donne e i bambini erano arrivati sani e salvi a bordo. Le loro leggende tracimeranno, se la nostra situazione continuerà a peggiorare, e non servirà a nulla opporre ad esse i fatti.
Christa Wolf, “Medea” – Io narrante: Medea.
La sera se ne stanno seduti presso i fuochi da campo e cantano di Giasone l’uccisore del drago. Certe volte passo di là, non li disturba, credo che non sappiano nemmeno che sono io, quello di cui cantano le gesta. Una volta Medea stette ad ascoltare quei canti insieme a me. Alla fine, disse: di noi hanno fatto ciò di cui avevano bisogno. Di te l’eroe, e di me la donna malvagia. Così ci hanno allontanati l’uno dall’altra.
Christa Wolf, “Medea” – Io narrante: Giasone.
Orgoglio e superbia
Medea arriva a Corinto da straniera. È con occhi da straniera che osserva la città che l’accoglie, che cerca di comprenderla. Arriva da profuga in una Corinto che la vorrebbe sottomessa, ma con l’intimo orgoglio di essere libera.
E anche lei non è una che renda le cose proprio facili. Si potrebbe quasi credere che giochi col pericolo. Basti pensare a come cammina. In modo provocante, questa è la parola. La maggior parte delle donne di Colchide cammina così. Mi piace. Ma si possono capire le donne dei corinzi, quando si lamentano: perché mai delle straniere, delle profughe dovrebbero camminare nella loro città con un orgoglio maggiore del loro?
Christa Wolf, “Medea” – Io narrante: Giasone.
Se non fosse così superba. In fondo era lei la profuga, dipendente da me. E quando fallì il mio piano di restituire a mio padre la dignità regale nella mia patria, Iolco, con l’aiuto del Vello d’oro; quando anch’io dovetti fuggire, allora fummo tutti dipendenti dalla grazia del re Creonte. Questo sono stato costretto a dirle ogni volta. E lei? Non sono andata via dalla Colchide per venirmi a sottomettere qui, questi sono i discorsi che fa, e non si lega le ciocche selvagge dei capelli come fanno le donne di Corinto dopo il matrimonio. (…) E corre per le strade come un temporale, e grida quando è arrabbiata e ride forte quando è allegra.
Christa Wolf, “Medea” – Io narrante: Giasone.
Opposizione e dialogo
Quando il suo sistema di valori e quello della nuova patria si rivelano incompatibili, Medea non ha paura di prendere posizione. Da tramite per il dialogo tra culture, la presenza della profuga diventa improvvisamente troppo ingombrante: gli abitanti di Corinto non sono in grado di guardarsi riflessi nei suoi occhi.
Sai che cosa cercano, Medea? Mi chiese Circe. Cercano una donna che dica loro che non hanno colpe; che sono gli dèi, oggetto casuale di adorazione, a trascinarli nelle loro imprese. Che la scia di sangue che si lasciano dietro fa parte della mascolinità così come gli dèi l’hanno determinata. (…) Ma nessuno di loro sopporta la disperazione, hanno addestrato noi a disperarci, qualcuno, o qualcuna, deve pure portare il lutto. (…) Pregai Circe di poter restare con lei, da lei e dalle donne. (…) Circe disse che non potevo restare. Che ero una di quelle persone che vivono in mezzo a gente di questo genere. Una di quelle che dovevano sperimentare in cosa noi siamo davvero in comunanza con loro, e che dovevano tentare di toglier loro la paura di se stessi, la paura che li rendeva così selvaggi e pericolosi. E fosse pure soltanto a quell’unico uomo, Giasone.
Christa Wolf, “Medea” – Io narrante: Medea.
Cautamente, per perifrasi, parlo del bisogno degli esseri umani di scaricare il proprio fardello su altri. Fra poco dovrà essere sacrificato un prigioniero ogni cento, per dare soddisfazione agli dèi e convincerli ad allontanare dalla città le loro mani castigatrici. Non servirà a nulla, dice Medea. Lei non lo permetterà. Sento freddo. La scongiuro insistentemente di non violare le leggi di Corinto. Le piacerebbe non farlo, ma è costretta, dice concisa. (…) Mi attengo alla convinzione che non sfuggiamo alla legge che governa tanto noi quanto il corso degli astri. Ciò che facciamo o che evitiamo di fare non cambia nulla. Lei si oppone. Ciò la annienterà.
Christa Wolf, “Medea” – Io narrante: l’indovino Leuco.
Alla luce di questi brani possiamo cercare di definire le caratteristiche dell’archetipo Medea; a differenza degli archetipi tradizionali, non facendo riferimento esclusivamente alla sfera erotica o del rapporto con il maschile. La profuga Medea è la donna che mette in comunicazione sfere diverse (il mondo emotivo con quello dell’azione) e culture diverse (la Colchide e Corinto). Il suo orgoglio e un senso di giustizia inflessibile la rendono però vulnerabile a spregiudicatezza e inganno.
Rispetto all’archetipo autodistruttivo della donna amazzone, l’opposizione di Medea è non-violenta, votata al dialogo e soprattutto disposta al confronto. Se l’amazzone si pone fuori dal sistema con cui è in conflitto per combatterlo (il modello maschile incarnato dalla lotta tra Pentesilea e Achille, oppure lo stato repressivo di molti romanzi YA), la profuga deve sperimentare innanzitutto “in che cosa noi siamo in comunanza con loro”. Solo una volta trovato un punto di contatto, potrà iniziare a modificarlo – dall’interno.
TITOLO: Medea. Voci
AUTRICE: Christa Wolf (Traduzione di Anita Raja)
EDITORE: Edizioni e/o
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