Nuove rappresentazioni femminili nel fantasy
Questo articolo è da considerarsi di supporto e integrazione al panel dal titolo “Personagge, eroine villainess: nuove rappresentazioni femminili nel fantasy”, tenutosi in occasione di Stranimondi 2022. A esso hanno partecipato le autrici Elena Di Fazio, Gloria Bernareggi e Sephira Riva e la bookblogger Barbara Monaco (Fenice fra le Pagine). Il video dell’incontro è disponibile sulla nostra pagina Instagram.

L’invisibilità delle donne nel fantasy
La letteratura fantastica è un genere naturalmente trasgressivo, perché l’evasione è per sua natura un gesto di rivalsa verso l’ordine costituito. A dispetto di questa componente eversiva, tuttavia, spesso il fantastico si è messo al servizio (in modo più o meno consapevole) dell’ideologia dominante; contribuendo a giustificare politiche colonialiste o avvallando stereotipi nocivi.
In questo contesto, le minoranze hanno patito per lungo tempo una rappresentazione semplicistica e strumentalizzata, o una completa marginalizzazione.
Le donne sono state per decenni le grandi assenti nella letteratura fantastica. L’invisibilizzazione del sesso femminile è avvenuto in modi subdoli: rimuovendole dal cast dei protagonisti o negandone il punto di vista; ridimensionandone l’eroismo; oppure semplicemente dichiarandole indistinguibili all’aspetto dai maschi, e perciò di fatto inesistenti (come accade per il popolo dei nani descritto da Tolkien).
Quando presenti, le donne restavano figure di sfondo (madri morte, fidanzate rapite, amanti prescelte). Scialbe, piatte, poco interessanti. C’è voluto il femminismo per darci le prime narrazioni che avessero al proprio centro una figura femminile – ma in Italia queste traduzioni sono state tardive (“Il viaggio di Halla” di N. Mitchinson, pubblicato nel 1952, è arrivato in Italia solo l’anno scorso), perciò non hanno avuto ruolo nel formare gli scrittori nostrani. Al contrario, la predominanza di opere classiche sul mercato italiano ha contribuito a generare opere impregnate di un sessismo più o meno ingenuo; tanto più sconcertanti nella loro mancanza di attualità, rappresentazioni femminili machiettistiche, colme di stereotipi se non apertamente offensive.
Un arco di trasformazione a misura di donna
Per fortuna, altrove il panorama culturale era in fermento. Mentre Campbell e Vogler standardizzavano il viaggio dell’eroe, le meno note Murdock e Schmidt ragionavano su un suo potenziale adattamento alla loro esperienza di donne. Il viaggio dell’eroe si rivelava infatti inadatto a raccontare l’esperienza femminile, inevitabilmente toccata dal suo svilupparsi in un contesto patriarcale. Non a caso, Murdock basa il proprio modello sul lavoro effettuato con donne in terapia: si struttura quindi come una progressiva presa di coscienza dell’inconciliabilità della propria autorealizzazione con le aspettative patriarcali, e non si conclude con una vittoria o un premio – ma con una chiara coscienza di sé e uno sguardo in grado di abbracciare le complessità del mondo.
Nuove rappresentazioni femminili: donne protagoniste della propria storia
Non dobbiamo però pensare alla comparsa di questi studi come a un motore per la genesi di un nuovo tipo di storie; quanto piuttosto come a uno dei segnali dell’avvento di una trasformazione. Né dobbiamo immaginare che questa avvenne in modo contemporaneo in tutti i generi del fantastico. Negli anni in cui N. Mitchinson pubblicava il radicale “Memorie di un’astronauta donna”, U.K. Le Guin scriveva “Il mago di Earthsea”, salvo poi ammettere che:
Men were at the centre [of fantasy, and] from my own cultural upbringing, I couldn’t go down deep and come up with a woman wizard.
U.K. Le Guin
Mentre il fantasy per adulti faticava a liberarsi da secoli di dominio maschile, i romanzi per ragazzi di D.W. Jones davano vita a rappresentazioni femminili vivide e indimenticabili: Sophie de “Il castello errante di Howl”, oppure Arianrhod di “La congiura di Merlino”. Giovani donne in rotta di collisione con il proprio mondo, con l’abilità e la determinazione di trasformarlo a propria misura.
È grazie al successo di “Hunger games” (non a caso, un’opera al limite tra fantascienza e fantasy) e “Twilight” (a cavallo tra fantasy e gotico) che il punto di vista femminile si impone nel fantasy per adulti. Sebbene non scevre da problematiche di altra natura, non possiamo che essere grate a Katniss e Bella per aver fatto da apripista e aver sdoganato, nel mondo editoriale, il punto di vista femminile.
Ovviamente da protagoniste femminili a protagoniste femministe ce ne passa! E queste ultime hanno fatto capolino dagli scaffali da pochissimo. Sono quelle de “Le streghe in eterno” di A.E. Harrow, “Le impure” di K. Liggett, o dell’italianissimo “A colpi di cannonau” di T. Blesh. Rispetto alle loro predecessore, queste protagoniste sono consapevoli di abitare un mondo strutturato per opprimerle in quanto donne, e il loro principale obbiettivo (nonché sola possibilità di sopravvivenza) è svelarne i meccanismi e distruggerlo dalle fondamenta.
Esplorando la zona grigia: l’età dell’oro delle villainess nel fantasy
Se possiamo considerare concluso il passaggio delle rappresentazioni femminili nel fantasy da personagge a eroine, ci troviamo invece nel mezzo di quello da eroine ad antieroine. L’antieroe fantasy è direttamente riconducibile all’eroe byroniano, un illustre antecedente che ha disperso le sue peculiari caratteristiche in tutti i generi (dal romanzo rosa, all’horror), ma che nel fantasy si è mantenuto praticamente inalterato. Duecento anni e non sentirli: ladro gentiluomo, amante leale a dispetto di tutto, bel tenebroso.
Ovviamente Lord Byron non ha pensato a un equivalente femminile del suo eroe, e in effetti non è che la letteratura (fantastica o meno) brulichi di antieroine. Almeno fino a pochi anni fa.
Poi, d’improvviso, da Oriente è arrivata un’onda di piena: manga, manwha, light novel. La produzione giapponese e coreana si è perdutamente innamorata della villainess.
Forse non è del tutto corretto considerare le villainess alla stregua di antieroine. Esse sono, piuttosto, delle eroine dichiaratamente malvagie. Le loro storie seguono più o meno questo schema: l’uomo a cui hanno dedicato la propria vita all’improvviso volta loro le spalle, abbandonandole per una nuova compagna e mostrando di averle sempre sfruttate per i propri scopi. In alternativa, è una personaggia della famiglia a compiere ogni forma di scelleratezza ai danni della protagonista, rendendo la sua vita un inferno. Inevitabilmente, la protagonista va incontro a un tragico destino… Salvo rinascere, o tornare indietro nel tempo, con la memoria intatta.
A questo punto, la giovane vittima divenuta villainess ha un solo obbiettivo: sfruttare la seconda possibilità che le è stata offerta per vendicarsi di chi l’ha fatta soffrire.
Come un antieroe, la villainess si pone moralmente al di fuori della società che l’ha condannata, e prende nelle proprie mani l’amministrazione della giustizia. Le sue azioni hanno però un risvolto catartico che manca all’eroe byroniano: in un mondo patriarcale in cui le donne sono vittime o mostri, la villainess propone un nuovo ideale di felicità – basato sulla distruzione del presupposto patriarcale e sulla ricerca della propria autorealizzazione (professionale, economica e sociale).
Il corpo e il soggetto (e il fantasy)
Anche il mondo delle graphic novels si dimostra terreno fertile per sperimentare con antieroine e antagoniste (altrettanto rare nel panorama fantastico). Le graphic novel mettono al centro l’aspetto erotico e corporeo delle proprie protagoniste, che diventa elemento fondamentale della loro presa di coscienza e del loro potere (potremmo interrogarci su quanto di questo sia frutto di un male gaze, cioè a servizio del piacere maschile – ma per il momento fermiamoci qui). Dopotutto, la rivendicazione della sfera materiale e corporea è un punto cardine della teoria femminista delle “soggettività incarnate”: il corpo diventa infatti punto di partenza imprescindibile per interrogarsi sul dove, come, quando, in quali relazioni e condizioni di potere si pronuncia il sé individuale.
Opere che esplorano questo tipo di rappresentazioni femminili sono “Morgana”, “Pelle di mille bestie” di S. Kansara e S. Fert oppure “Pelle d’uomo” del duo Hubert-Zanzim. È interessante che in ciascuna di esse il tema venga indagato nella forma del retelling di racconti del folklore popolare, o mediante artifici tipicamente fiabeschi. Suggerisce che il fantasy stia ricreando a posteriori una propria genealogia femminista, o piuttosto che stia finalmente riappropriandosi dell’albero genealogico intorno a cui hanno sempre ballato le streghe.
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