Fantasia e immaginazione: troviamo le differenze
Negli ultimi mesi mi sono spesso trovata a leggere libri oscuri, dimenticati, o semplicemente mai tradotti in lingua italiana. Se, come scriveva Pennac, il tempo dedicato alla lettura è sempre, quasi per definizione, tempo rubato ad altre attività, di certo l’atto volontario di allontanamento dalla vita vissuta in favore di un viaggio nel mondo delle parole suggerirà qualcosa sulla natura del lettore. In altre parole, forse sarebbe possibile dire qualcosa di più su un altro essere umano in base non solo a ciò che sta leggendo, ma anche a cosa ha rinunciato per dedicarvisi.
Cosa si nasconde dunque nell’animo del lettore di ignota saggistica?
A mia discolpa posso soltanto dire che si tratta di una passione recente, coltivata quasi di nascosto tra mercatini dell’usato e festival della letteratura. Spezzerò una lancia in favore dei saggi di settore: sono libriccini sottili ma densi di testo, di cui spesso i librai ignorano il valore. In altre parole, si trovano un po’ ovunque a basso o bassissimo prezzo, e stanno comodamente in una valigia da cabina. Inoltre, la loro lettura non provoca turbamento nei vicini, possono persino essere abbandonati in giro per casa senza vergogna (non come, per esempio, certi esempi di letteratura erotica da conservarsi necessariamente sotto vuoto e lontano da occhi indiscreti).
Il saggio in questione porta il lungo titolo “Magical Thought in Creative Writing – The distinctive role of fantasy and imagination in fiction”, di Anne Wilson (The Thimble Press, 1983). L’ho rinvenuto nel buio scaffale di una libreria di Hay-on-Wye, informazione di scarsa utilità per chi fosse interessato al suo contenuto, ma che a mio parere contribuisce grandemente al suo fascino.
Il saggio è strutturato in sette capitoli, ciascuno dedicato all’esame di un’opera letteraria (She, Jane Eyre, The Lord of the Rings, The Wife of Bath’s Tale -parte dei Canterbury Tales-, Hamlet; più due fiabe di Andersen e un romanzo del ciclo bretone). L’obbiettivo di tale esame è, come da titolo, lo studio del diverso ruolo di fantasia e immaginazione nella creazione di una storia. Molto spesso i due termini sono considerati sinonimi, perciò Wilson apre la sua introduzione con due definizioni (pag.15-16):
“Fantasy is a form of thinking which is magical in character, ‘magical’ because is free from the laws and realities of the external world, and therefore operates with special powers to bring things about. These things are brought about in the mind alone. (…) Since magical thoughts is not concerned with outer reality, it does not engage in searching reflection; it does not reason, calculate, work out strategies or exercise discriminating judgement. (…) Imagination labors to understand the outer world beyond the solipsistic concerns of the inner world, and to deal with it effectively. The imagination is, furthermore, a creative power of the mind which can leap to fresh concepts and unique visions of life, while fantasy is confined to the familiar, since it is concerned only with the expression of the unchanging common stock of human feelings.”
[La fantasia è una forma di pensiero di carattere magico, in quanto libera dalle regole e realtà del mondo esterno, e pertanto agisce in modo creativo con qualità speciali. (…) Dal momento che il pensiero magico non si preoccupa del mondo esterno, poiché non ha come scopo la ricerca di significato; esso non ragiona, non calcola, non pianifica strategie né discrimina tra giusto e sbagliato. (…) L’immaginazione è volta alla comprensione e all’interazione efficace con il mondo esterno, al di là delle preoccupazioni solipsistiche del mondo interiore. Inoltre, l’immaginazione rappresenta un potere creativo della mente in grado di accedere a nuovi concetti e visioni della vita, mentre la fantasia è relegata a ciò che è famigliare, poiché si occupa solo di esprimere l’immutabile universale spettro dei sentimenti umani.]
Se la definizione non vi ha convinto, i successivi sette capitoli dovrebbero riuscirvi. In essi, Wilson sminuzza chirurgicamente ogni opera tentando di separare il contributo della fantasia da quello dell’immaginazione: se il risultato appare davvero convincente nelle fiabe di Andersen, tuttavia, il limite diventa molto più fluido in opere dalla struttura più complessa. Stando alla definizione di Wilson, la fantasia è solipsistica (solus + ipse; solo sé stesso), ovvero si muove in una dimensione che basta a sé stessa, che è rappresentazione della sua coscienza individuale. Tuttavia, essa è anche universale, perché fa riferimento a sentimenti comuni. In altre parole, la fantasia si dipinge nella mente, uguale per ciascuno, e nella mente trova il proprio significato. È quindi inutile cercare di spiegare in modo logico le azioni di un personaggio fiabesco: la sua comprensione richiede che la storia sia approcciata con l’ausilio del pensiero fantastico. Soltanto in questo modo e in tale dimensione essa riacquista il suo completo significato.
Poiché l’immaginazione rappresenta un ponte tra il mondo esterno e il mondo interiore, essa può collaborare con la fantasia. Con un rischio: che l’impianto razionale apportato dall’immaginazione al reame del fantastico lo snaturi o, peggio ancora, che il lettore approcci un evento che ha significato nel fantastico guidato dalla logica dell’immaginazione.
Fantasia e immaginazione sono armi potenti nelle mani di qualsiasi narratore, e possono, devono essere capite e sfruttate consapevolmente.
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