Emozioni cui dare un nome: “Il Dizionario dei dolori indistinti” di John Koenig
Avete mai sperimentato sensazioni ed emozioni a cui non siete stati in grado di dare un nome?
John Koenig, l’autore della web-series “The Dictionary of Obscure Sorrows” (“Il Dizionario dei dolori indistinti”) deve aver provato qualcosa di simile quando ha dato inizio al suo compendio: parole nuove che mirano a colmare lacune linguistiche, cioè a dare nome ai dolori e rimpianti del nostro tempo.
In uno sforzo in qualche modo opposto a quello di chi cerca di riportare in auge parole desuete, il dizionario di Koenig prende pesantemente in prestito dalle lingue esistenti, per creare qualcosa che, seppur nuovo, risuona come se fosse già noto.
Ecco alcune delle mie preferite:
Vemödalen (n): La paura che tutto sia già stato fatto.
Moment of Tangency (n): L’istante in cui si percepisce cosa avrebbe potuto essere, ma non è stato.
Kuebiko (n): Stato di spossatezza ispirato da un atto di violenza insensata, che obbliga a rivalutare l’immagine di cosa possa o non possa avvenire in questo mondo. Dopo che nel recinto delle aspettative si è aperto un varco, che verità inopportune e invasive hanno messo radici, si torna a scavare alla ricerca di ciò che di buono si nasconde sotto la superficie, prima di tornare a rialzarsi come un vecchio spaventapasseri le cui cuciture stanno scoppiando, ma che non può fare altro che stare lì e guardare fino alla fine.
Anemoia (n): Nostalgia per un tempo che non si è mai conosciuto.
Kenopsia (n): L’inquietudine dei luoghi lasciati indietro dalla vita e dalla storia.
Alazia (n): La paura di non essere più in grado di cambiare.
Opia (n): L’ambigua intensità del contatto visivo.
Uno sforzo comune
Lo sforzo di Koenig potrebbe sembrare l’impresa arrogante di un idealista, ma tanti personaggi ben più celebri di lui si sono cimentati nella creazione di neologismi quando il linguaggio li falliva. Forse l’esempio più noto è quello del Sommo Poeta Dante Alighieri, che affrontava il Paradiso con armi linguistiche del tutto inadeguate (limitate, umane) a descrivere ciò che non poteva essere contenuto in un nome soltanto.
Il mondo scientifico, poi, sforna continuamente nuovo gergo specialistico. Questi neologismi sono in qualche misura inevitabili, perché vanno a etichettare qualcosa che prima non esisteva (perché non era stato ancora creato, o perché le passate tecnologie non permettevano di conoscerlo).
Allo stesso modo, quella di Koenig è una sfida al reale, una missione che sonda le profondità dell’animo umano. È nella natura umana cercare di comprendere, di capire; e per farlo si sono sempre usate le parole. Parole antiche, parole nuove, per affrontare armati di chiarezza le tempeste di ogni era. E non è certo un caso che questo Dizionario emerga proprio ora, figlio di una sensibilità moderna per la persona e il suo mondo interiore. Koenig indaga l’universo percepito attraverso gli occhi, una volta che è stato assorbito e trasformato; ma prima che quel lampo di consapevolezza sia riuscito a rischiarare l’esperienza della realtà intera.
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