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Critica letteraria e Saggistica, Libri, Scrittura

La dignità del prologo

Breve storia del libro

Da quando la scrittura si è imposta come veicolo privilegiato per la trasmissione culturale, a scapito della preesistente tradizione orale, la storia del libro è diventata la storia della cultura occidentale. Dalle tavolette d’argilla alla corteccia di faggio, dalla pietra al papiro, dalla pergamena alla carta; l’evoluzione del testo scritto è indissolubilmente legata alle contingenze tecnologiche, politiche e religiose di ciascuna epoca. Il libro moderno è creazione relativamente recente, che deve la sua fioritura a un fortunato insieme di scienza (la stampa a caratteri mobili, seguita dallo sviluppo della tipografia prima e dell’informatica poi), società (libertà di stampa, aumento dell’alfabetismo) ed economia (riduzione dei costi di produzione). Il formato che siamo abituati a incontrare in libreria è invenzione del XIX secolo: la produzione e rilegatura dei libri è comune nel Medioevo islamico e monastico, i caratteri mobili appaiono per la prima volta in Cina nel 1045, ma ancora nel 1500 non c’è piena coscienza della lettura silenziosa. Gli spazi bianchi (spazi aldini, dal nome del loro inventore Aldo Manuzio) necessari per aumentare la leggibilità della pagina sono introdotti sono alla fine del XVI secolo.

Insomma, la struttura moderna del libro è retaggio di un passato illustre. Al di là dell’anatomia esterna del libro, di cui magari mi occuperò in un altro articolo, questa è la struttura interna di un libro di narrativa (altre tipologie di volume prevedono più sezioni):

  • Occhietto: pagina con un titolo (spesso della serie o collana) che precede il frontespizio;
  • Frontespizio: contiene titolo, autore, editore, traduttore;
  • Colophon: riporta informazioni su casa editrice, diritti d’autore, edizione, stampatore, data e luogo della stampa;
  • Indice: elenco ordinato delle varie parti del libro;
  • Incipit: la prima frase (o il primo paragrafo) del libro;
  • Explicit: chiusura del libro.

Molto spesso l’incipit è costituito da un prologo, e l’explicit è sostituito da un epilogo. Considerando l’importanza dell’inizio e della fine di una storia, è stato sconcertante scoprire quanti lettori saltino queste due sezioni. Sui forum di scrittura anglosassoni fioccano i consigli per scrivere un prologo “imperdibile”, mentre agenti letterari invitano alla rimozione forzata delle sezioni incriminate prima dell’invio alle case editrici. Rimane il dubbio: se l’abitudine al salto del prologo è tanto radicata, chi leggerà l’imperdibile prologo? D’altra parte, la sua rimozione non rappresenta certo una soluzione. A nessuno verrebbe in mente di rimuovere l’overture di un’opera perché “non fa che riprendere i brani che saranno ascoltati in seguito”. A nessuno dovrebbe venire in mente di rimuovere un prologo posizionato consapevolmente dall’autore perché, ad esempio, “riferito a un avvenimento che si verificherà molto più avanti”.

Ma tu i Prologhi, come li facevi?

Anche il termine prologo ha antenati illustri. Compare per la prima volta nella letteratura greca in una celebre scena delle Rane di Aristofane:

ESCHILO: Ma tu i Prologhi, come li facevi?

EURIPIDE: Te lo spiego subito. E se dico due volte la stessa cosa, o se vedi zeppe che non c’entrano, sputami in faccia!

DIONISO: Dài, parla: crepo dalla voglia di sentire come sono azzeccate, le parole dei tuoi Prologhi.

EURIPIDE: «Una volta era uomo felice Èdipo…»

ESCHILO: Neanche per sogno: sfortunato dalla nascita! Quando a uno, prima di nascere, Apollo gli predice che deve ammazzare il padre ancora prima di vedere la luce, come fa ad essere stato felice un uomo simile, «una volta»?

EURIPIDE: «…poi divenne il più sventurato dei mortali».

Aristotele discute del προλογον nella Poetica e nella Retorica, definendolo nella prima opera come la parte della tragedia che precede l’ingresso del coro, e nella seconda opera come preludio aulico che dia l’intonazione al resto della composizione. Abbiamo poi il prologo di Plauto, che può contenere un riassunto dell’intera opera (finale compreso), oppure quello di Terenzio, che della trama non anticipa nulla ma si incarica della difesa dell’autore e del suo operato nei confronti di pubblico e critica.

A prima vista, la visione classica del prologo appare inconciliabile con quella del romanzo moderno, tuttavia possiamo trarne una lezione importante. Il prologo non nasce per essere informativo, e neppure per creare suspense. Piuttosto, esso stabilisce il colore della narrazione e mette la storia in relazione con ciò che la circonda – un mondo immaginario, un pubblico esigente, o l’universale esperienza di essere umani.

 

Immagine in evidenza: Giovanni Tortelli, “De Ortographia” (circa 1450) – sezione.

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Sephira Riva

Scienziata appassionata di divulgazione, viaggi e scrittura. Affetta da una forma terminale di wanderlust per questo e altri Mondi.

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